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Il laboratorio acque reflue dell’Arpac di Napoli

by Flavio Cioffi
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Quarta tappa del viaggio di Gente e Territorio alla scoperta del Dipartimento provinciale Arpac di Napoli. Dopo i laboratori acque ad uso umano, (https://www.genteeterritorio.it/qualita-dellacqua-il-lavoro-sul-territorio-del-dipartimento-arpac-di-napoli/) mare (https://www.genteeterritorio.it/il-laboratorio-mare-dellarpac/) e alimenti (https://www.genteeterritorio.it/il-laboratorio-alimenti-dellarpac-di-napoli/), entriamo nel laboratorio acque reflue. Siamo con il dottore Dario Mirella, Direttore del Dipartimento, con la dottoressa Beatrice Cocozziello, Direttrice dell’Area analitica, e con la dottoressa Maria Pompea Niola, dirigente del Laboratorio acque reflue.

 

 

Di cosa parliamo oggi?

Mirella. Oggi parliamo del laboratorio acque reflue del Dipartimento di Napoli. E’ l’unico laboratorio della Regione Campania accreditato per i parametri analitici sulle acque di scarico. Un laboratorio importante per l’impatto che la matrice acqua ha sul suolo, sul mare e sui corsi d’acqua superficiali, che copre anche i territori dei Dipartimenti di Avellino e di Caserta. Per acque reflue si intendono le acque di processo degli impianti e le acque domestiche. Il controllo delle fonti puntuali di inquinamento, cioè di singoli insediamenti o di singole aziende, garantisce la qualità dei corpi recettori, cioè appunto i fiumi e il mare.

Cocozziello. La qualità del mare e delle acque superficiali parte da una accorta gestione del territorio. Perché tutto quello che c’è sul territorio oggi, lo troviamo domani a mare. L’attività di controllo che noi effettuiamo sulle acque reflue parte da lontano, dalla Legge Merli del 1976, la cui impostazione non è stata mai stravolta dalle norme successive. Oggi è allo studio della Comunità europea una nuova legge sul controllo degli scarichi delle acque reflue e ci aspettiamo certamente una specifica attenzione agli inquinanti emergenti: microplastiche, virus, farmaci e altro. Ma non è solo aumentando il numero di molecole da ricercare che si migliora la qualità delle acque. Ci auguriamo, quindi, che la nuova normativa abbia un approccio diverso e cioè preveda analisi del rischio, validazione del rischio e gestione del rischio.

 

Veniamo al laboratorio.

Niola. Noi analizziamo i campioni prelevati dal personale delle Aree territoriali dell’Arpac presso sei depuratori comprensoriali regionali, svariati depuratori comunali e numerosi impianti privati. A questi si aggiungono i campioni fornitici dalle Autorità Giudiziarie. In tutto circa 350 campioni all’anno da analizzare per 30/40 parametri per campione. I risultati delle analisi vengono trasmessi al servizio territoriale, che a sua volta li trasmette agli organi competenti, e pubblicati sul sito dell’Agenzia. Circa il 70% delle analisi dà risultati positivi, ma alcuni depuratori regionali, come quelli di Napoli Est e di Acerra, continuano ad avere problemi. La maggior parte delle non conformità che riscontriamo comportano solo sanzioni amministrative. In caso di presenza di metalli, idrocarburi e alcuni inquinanti particolarmente pericolosi scattano invece le sanzioni penali.

Questo significa che il sistema depurativo campano potrebbe/dovrebbe essere ulteriormente migliorato?

Mirella. Gli importanti interventi migliorativi realizzati sulla depurazione campana hanno migliorato la qualità delle acque di balneazione e siamo in un trend di ulteriore miglioramento. Però i depuratori soffrono molto l’arrivo di reflui anomali, dei quali abbiamo continue segnalazioni. Gli impianti sono infatti tarati per determinate qualità di reflui in ingresso, per lo più domestici, e se arrivano reflui industriali che non sono pretrattati questi hanno un impatto negativo sulla depurazione finale.

E non si potrebbero conseguentemente adeguare gli impianti?

Diciamo di si, ma la cosa comporterebbe investimenti molto importanti. Sarebbe molto più logico che venisse fatto un controllo più capillare sugli scarichi a monte dei depuratori finali.

 

 

Passiamo al sistema fognario.

Mirella. Sicuramente la progettazione del sistema fognario, che è antica, non permette grossi correttivi senza massicci investimenti e senza ricorrere alla separazione della rete delle acque chiare da quella delle acque nere. Soprattutto a Napoli, poi, la caratteristica collinare del territorio unita al ripetersi di eventi piovosi anomali, e l’anomalia ormai sta diventando la norma, determina un grandissimo afflusso di acque che, passando per gli invasi verso il mare, confluiscono nel sistema fognario. Si arriva ad incrementi di flussi anche dell’ordine di dieci volte. Le fogne non reggono e si aprono gli scolmatoi che sversano queste acque piovane, miste e piene di rifiuti raccolti negli invasi, a mare. Esistono significativi finanziamenti, legati anche al Pnrr, per la separazione delle due linee fognarie, ma nel frattempo si potrebbero almeno definire procedure automatiche che, per esempio, vietino la balneazione per i due giorni successivi agli eventi piovosi eccezionali.

Oltre agli investimenti infrastrutturali, è necessario investire anche sul sistema dei controlli?

Mirella. L’investimento non è mai solo impiantistico. Ipotizziamo che un’azienda chieda un’autorizzazione allo scarico prevedendo anche la realizzazione di un piccolo impianto di depurazione e che lo scarico venga autorizzato. Ma l’azienda deve anche farlo effettivamente funzionare quell’impianto. Ci vuole un meccanismo di controllo valido, rapido e abbastanza esteso. E bisogna lavorare anche sull’etica degli imprenditori e sulla partecipazione dei cittadini, parlando e spiegando.

Cocozziello. Proprio per questo motivo, quando l’Arpac effettua i controlli non si comporta più come un poliziotto ma parla. E facciamo così anche qui nel laboratorio. Spesso dagli impianti vengono dei periti per assistere alle nostre analisi e nel tempo si è costruito un rapporto di fiducia. Una volta, ad ogni analisi che non andava bene per loro ci facevano arrivare la lettera dall’avvocato che diceva che avevamo sbagliato. Oggi non è più così. Noi abbiamo detto alla controparte: vieni a vedere come lavoro, non mi contestare prima, costruiamo insieme un percorso analitico che sia soddisfacente, chiaro, trasparente, controllabile. Un meccanismo virtuoso al quale anche loro si stanno adeguando.

Torniamo al laboratorio. Chi fa cosa e come?

Niola. Il personale del laboratorio è costituito da me, come dirigente, e da quattro collaboratori: un perito chimico, un chimico e due biologi. E per ora sono sufficienti. Però, nell’ottica di ampliare il numero di parametri da analizzare per ogni campione e di servire anche altri Dipartimenti dell’Arpac, sarà necessario aumentare il numero degli addetti. Quanto alla strumentazione, ci sono stati appena consegnate diverse apparecchiature, che proprio in questi giorni metteremo in funzione, che ci consentiranno sia di migliorare la qualità del dato che di fare nuove analisi che prima non potevamo eseguire. Se proprio dovessi chiedere qualcosa oggi, vorrei un apparecchio per i metalli.

Sentito lassù, nei piani alti? Si può fare qualcosa?