Si continua a girare attorno al problema: il Pd è tale da favorire trasformismi e clientele? Bastano regole e commissari? Il campo largo si deve fare o no? Va bene la linea di politica estera? Su “Accordi e Disaccordi” – La Nove Sabato – Travaglio e Scanzi insistevano sul punto delle regole e del limite ai mandati con divieto di ingresso nel Pd per i transfughi. Ma il punto non è amministrativo o di commissari dall’alto. Il punto riguarda la natura del Pd e la linea politica. E cioè. Un partito fin qui diviso, feudalizzato tra correnti e diverse appartenenze. Liquido e trasversale. Sempre sospeso tra capo plebiscitato e aree personali. Al vertice e in periferia. Alle ultime primarie addirittura spaccato in due. Tra voto popolare e voto di partito. Il che significa che il o la leader, non ha piena legittimazione in virtù di uno statuto che prevede un Congresso interno e poi gazebo di voti cittadini. Per cui o c’è unanimità, oppure ne risulta una frattura, come nel caso della Schlein, che oggi resta limitata nelle sue scelte proprio da questo doppio meccanismo. E infatti le divisioni si vedono e i nodi di volta non si sciolgono. Inutile e vano quindi, nel vivo degli scandali, l’appello a misure ferree dall’alto. Di interventi o risanatori miracolistici. Schlein non conta infatti su un partito coeso e affidabile, con identità precisa e responsabilità comuni verso una forma partito con appartenenza condivisa, quanto a memoria e futuro ideale e programmatico. E pertanto vincono i divieti incrociati al vertice e alla base. E forzarli d’imperio può produrre strappi e scissioni. In più, oltre alla mancanza di un gruppo dirigente frutto di una selezione congressuale, il Pd non ha momenti di verifica costanti della linea in assemblee nazionali, direzioni, conferenze programmatiche, né ha congressi federali di provincia e regioni. Meno che mai è pervaso da vita di circoli o sezioni. Ecco perché il Pd partito personale e di persone resta sospeso e sempre in bilico sulle circostanze. Privo di tenuta e coerenza. Nave con nocchiero forte o troppo debole, e in perenne gran tempesta. Che vive alla giornata e lascia la linea solo al segretario e ai suoi fiduciari. Un modello sbagliato e ormai non più praticabile.
In conclusione. Elly Schlein vada avanti sulla sua linea e dopo le Europee decida di mutare lo statuto, con norme precise. Non più perciò, come volle Veltroni al Lingotto, la conta di partito che seleziona i candidati da sottoporre a primarie nel gazebo. Bensì congresso unico riservato a iscritti e preceduto da congressi locali che eleggono delegati. La platea dei delegati eleggerà il segretario e ciascun delegato in basso e in alto voterà per mozioni emendabili. Infine si voterà mozione e segretario. E anche per direzione e composizione dell’assemblea nazionale. In seguito ci sarà la mozione finale approvata, con carta dei valori di base sulla natura del partito, e poi ancora vita di partito scandita da periodiche valutazioni della linea con relativi aggiustamenti.
Per quel che riguarda l’identità, la domanda a cui rispondere in questa fase costituente – anche aperta ad altri gruppi e associazioni – deve essere grosso modo la seguente: partito riformista dei ceti subalterni e del lavoro e quindi anche di cittadinanza? Oppure partito dei diritti civili progressista e interclassista? Partito di sinistra riformista alleato del centro e critico del capitalismo? Oppure partito di centrosinistra liberale inclusivo? Questo è il nodo dirimente da scogliere. E il Pd andrà rifondato a partire da una delle due alternative qui proposte. Se vuole uscire dalla paralisi e aspirare ad avere un peso egemone e nazionale. Altrimenti resterà sempre un’ opera incompiuta, sballottata da correnti e trasformismi. Quanto alle primarie, esse potranno sopravvivere su singole questioni controverse, di coscienza o generali. E naturalmente resteranno per la scelta delle cariche monocratiche: premier, sindaci, presidenti di regione e anche liste eventualmente. E tuttavia senza una imbastitura corale e strutturata democraticamente, il Pd non riuscirà mai a darsi una identità precisa né una politica univoca, e rimarrà prigioniero di equivoci, trasformismi e fenomeni degenerativi. Come fin qui è stato.