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Il duello francese

tre lezioni dalla Francia

by Bruno Gravagnuolo
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Direi due lezioni dalla Francia. Anzi tre. La prima è che il semipresidenzialismo è un sistema fallito e inadeguato. Bicefalo, instabile e pericoloso, specie in tempi di polarizzazione dello scontro. Inoltre non è rappresentativo e resta frutto di una logica emergenziale: Algeria, De Gaulle. In preda ad abbaglio tutti quelli che ce lo hanno proposto in questi decenni, a partire da D’Alema – poi pentito – Fini, Panebianco, Ceccanti, con aggiunta di doppi turni di collegio e ballottaggi. Il che vale anche per il compianto Sartori, che sulla scia di Duverger continuava a proporlo benché almeno avesse la decenza di spiegare come e perché il premierato fosse una truffa. Non esiste e non può esistere. È una caricatura del presidenzialismo, semi o totale, senza i contrappesi del caso. Un premier eletto entrerebbe in contrasto con il Colle, e per di più la maggioranza per eleggerlo sarebbe blindata fin dapprincipio attorno al premier. Un vulnus molto serio alla divisione dei poteri e al ruolo di garanzia del Quirinale.

La seconda lezione della Francia, e che fa il paio con gli USA, è che la società è divisa, che il ceto medio è rabbioso e che il centro scompare o diventa ancillare: alla sinistra o alla destra. Deve decidersi, aspettando tempi migliori: dal suo punto di vista meglio sarebbe la sinistra, che può sperare di ricondurre al centro domani. Altrimenti verrà inghiottito dalla reazione populista. Né Calenda né Renzi da noi sembrano averlo capito ancora malgrado la debacle europea. Lo ha compreso però Macron. Dopo l’avanzata della destra al primo turno in Francia. Macron che chiama all’unità e alla desistenza. Ora speriamo che Melenchon si moderi visto che ha già fatto un passo giusto: barrage e ritiro dove Macron è primo su tre. Ad oggi 121 frontisti hanno rinunciato nei collegi e 41 macronisti per far causa comune contro Bardella, che è in testa però nella gran parte delle triangolazioni. Si può sbarrare la strada ad un governo lepenista purché si mostri unità anche strategica su pace, immigrazione e realismo green, cose che allarmano i francesi.

Il terzo punto è questo: la sinistra liberal ha fallito. Sotto forma blairista, veltroniana, clintoniana, renziana. Ha assecondato il mercatismo spinto, distrutto le basi sociali del suo insediamento. Celebrato la sua subalternità al modello dem USA, sia nelle forme comunicative che nella geopolitica. Ora, almeno in Europa, c’è l’occasione storica di far pesare e incidere un’altra sinistra, non più di centro, ma ad esso alleata in autonomia. Sarebbe questo anche il passo decisivo per i dem USA: ritrovare l’anima popolare Kennediana coesistente tra sistemi geo. Ma in questo caso non c’è più molto tempo ormai. E potrebbe essere la destra xenofoba a inalberare le istanze della pace contro la guerra che ha creato inflazione e spreco di risorse in armi. Ragioni non secondarie queste non solo del successo di Trump ma anche dell’avanzata di Marine Le Pen.