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LE CITAZIONI: Fofi, il disordine morale e intellettuale

by Ernesto Scelza
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Poco più di dieci anni fa Goffredo Fofi scriveva questa “Nota introduttiva” al volume “Soli e civili”, in cui Matteo Marchesini raccoglieva una serie di ritratti d’intellettuali, scrittori e poeti spesso dimenticati, ma che hanno fatto la storia della cultura italiana, da Alberto Savinio a Piergiorgio Bellocchio, da Franco Fortini a Luciano Bianciardi.

«Grande è il disordine sotto il cielo, la situazione è confusa e la crisi avanza, e non riguarda soltanto l’economia; è forse, prima di tutto, una crisi di modelli, di idee, di morali. Di “cultura”, in senso antropologico e in senso cognitivo. In un paese che non ha vissuto l’esperienza della Riforma e che non ha fatto la Rivoluzione borghese, che ha alle spalle una tradizione municipale piuttosto che statale, che va dalle Alpi al mar d’Africa e che si apre verso Oriente quanto verso Occidente, ma che ha subito nel Novecento l’impatto micidiale dell’american way of life, le tradizioni sono deboli e le leggi incerte – tante e contraddittorie.

L’Italia esce ora da trent’anni di conformismo, costruito su un diffuso benessere che aveva il vuoto per base. La fine delle speranze novecentesche – riforme o rivoluzioni è secondario – ha riguardato tutto il pianeta, nel passaggio dagli anni settanta agli ottanta, ma ha lasciato l’Italia ben più fragile di altri paesi di fronte all’offensiva economica e mediatica e ben più fragile che nelle crisi passate, quando un “popolo” (o dei popoli) tuttavia esisteva (esistevano), tenuto insieme dalla scarsità e forte di una autonomia di comportamenti che spingeva alla solidarietà. Il risveglio obbligato che venne dopo vent’anni di dittatura, dopo una lunga guerra (mondiale) di cui due anni furono per noi di guerra civile che sembrò rafforzare la fibra dei sopravvissuti, ci aprì, o così credemmo, a prospettive inedite, nuove. Ma dopo trent’anni di conformismo, di televisione e di “Repubblica” e “Corriere della sera”, di accettazione di una progressiva stupidità collettiva?

(…) Nella decadenza della nostra società il mondo intellettuale e artistico porta la sua parte di responsabilità, in realtà enorme: ha accettato il peggio, e se ne è spesso gloriato. Scomparse le credibili figure di riferimento – i Calvino e i Pasolini, gli Sciascia e i Fortini, le Morante e le Ortese, i Silone e Chiaromonte, i Bobbio e i Capitini e quei politici che osarono essere anche intellettuali, i Foa e i Basso e i Panzieri – gli intellettuali si sono rapidamente divisi in due categorie rigidamente interne ai meccanismi del potere e della riproduzione borghese: professori universitari (baroni) e giornalisti (servi di questo o quel padrone politico o pubblicitario, e succubi della tv). E in guru e in opinion makers, parodistici aggiornamenti dentro l’orbita del potere mediatico. Lo spirito e la cultura (come merce consolatoria) vanno oggi più forte che mai, e non trovano altre barriere che quelle interne alla logica del potere, del capitale.»

Goffredo Fofi, Grande è il disordine sotto il cielo.