“Il controllo dello spazio”. Avevamo chiamato così, citando Lefebvre, il percorso di approfondimento avviato da questo giornale sulla ridefinizione degli spazi urbani, resa ancor più necessaria, addirittura urgente, dall’esperienza Coronavirus. Ci eravamo proposti di partecipare, nel nostro piccolo, al dibattito in corso in tutto il Paese e forse ci siamo, almeno in parte, riusciti.
Abbiamo dato voce a chi governa il territorio, al mondo accademico e professionale, ed i contributi raccolti hanno offerto, nella diversità e complessità degli approcci tematici e degli angoli visuali, un contributo analitico in chiave prospettica di oggettivo interesse. Perché ci hanno fatto capire un po’ meglio a che punto siamo e in quale direzione/i si pensa sia più utile dirigersi. Ci hanno anche spiegato che non esistono ricette e non c’è bacchetta magica che tenga, ma che la comprensione dei fenomeni è ineludibile. Se non per governarli, la sovrastruttura non determina mai la struttura, per interagire e convivere al meglio con essi.
E’ durato un mese il nostro percorso di approfondimento e riteniamo che ora sia il momento di chiuderlo, ragionarci su e riaprirlo più avanti in altra forma. In un confronto diretto, un convegno se sarà possibile o magari in streaming, che consenta ai partecipanti di interagire tra loro e con il pubblico in un’ottica di maggiore dettaglio sulle specificità del nostro territorio.
Voglio concludere riportando le parole dell’ingegnere Amadeo Bordiga, scritte nel 1950, che appaiono ancora attuali. I problemi di fondo non sembrano oggi radicalmente diversi, evidentemente perché il sistema produttivo, per quanto evolutosi tecnologicamente, strutturalmente non è cambiato.
“Impotente a reagire al dato della concentrazione di un numero sempre maggiore di abitatori su minimo spazio, l’urbanistica di Le Corbusier e degli altri che passano per avanzatissimi spinge gli edifizi ad altezze vertiginose e ad un numero inverosimile di piani, fantastica di città verticali ad atmosfere forzate… Ma questa tendenza appare ‘avveniristica’ solo in quanto non sa domandarsi se il migliore indirizzo della vita collettiva e le forme che assumerà in avvenire corrispondono a questo raccapricciante affollamento di gente sospinta in una vita sempre più febbrile malata ed assurda… Anzitutto i pericoli di epidemie infettive… L’ideale, che in urbanistica chiamano zonizzazione, consiste nel selezionare bene tra case operaie e case ricche; ma nelle vecchie città si ha ancora traccia dell’organizzazione feudale che frammischiava palazzi e casette, nobili, popolani e servi”.