Tentativi reiterati di mediazione di Antonio Polito del Corriere che plaudiva ancora una volta il 26 febbraio sul quotidiano a iniziative intermedie e conciliative sul premierato. Tentativi almeno fin qui falliti. E infatti la maratona annunciata a Roma alla Sala Umberto il 27 si è conclusa con un nulla di fatto, con la Ministra Casellati che ha respinto qualsiasi mediazione. Asserendo: elezione diretta e basta del premier. No al solo nome sulla scheda. Per ora un flop la mediazione. Al centro della assemblea c’erano il liberal Pd, Quagliariello e Associazione Bruno Leoni, e c’era anche Ceccanti costituzionalista veltroniano e poi renziano. Tra i registi del fallimento del Referendum fallito di Renzi del 2016. Che torna alla carica e insiste. Per inciso. Era sbagliato quel Referendum nel metodo e nel merito. Metteva infatti insieme rami alti e bassi. Con la Camera che dava la fiducia e Senato delle regioni, formato da un listino di eletti alle regioni ma nominati da esse. Macchinoso e confuso. E poi nella stessa scheda c’erano nel 2016 Provincie e titolo V da abolire. Giusto! Ma così era prendere o lasciare. Chi scrive per esempio avrebbe votato sì nella scheda su rami bassi: Titolo V e provincie. E no nella scheda su Camere per via di Senato pasticciato e indeciso. In più c’era l’Italicum che al secondo turno assegnava la vittoria con maggioranza semplice tra i primi due. Una forzatura che faceva vincere anche con un voto in più della metà dei votanti! Al secondo turno. Era incostituzionale e Renzi non senti ragioni nel modificare alcunché. E dietro chi c’era? Sempre i liberal della vocazione maggioritaria: Alimonte , Barbera. E tutti quelli che oggi tornano alla carica per emendare il premierato con buona volontà dialogante E appunto Ceccanti che ora con Polito si adopera per una correzione virtuosa e bipartisan del Melonellum premierale. Il “Melonato”. Senza risultato fin qui.
E infatti alla Sala Umberto di Roma la maratona oratoria si è conclusa con un nulla di fatto. Da una parte i correttori riformisti. Che propongono nome sulla scheda. E con Barbera presidente della Corte anche un doppio turno se non v’è maggioranza. Dall’altra Cesellati, che ha ribadito: “Il nome sulla scheda è lo stesso di ciò che noi proponiamo”. Già ma c’è dell’altro che Casellati ha ancora ribadito a Roma: con il 40 per cento il premier è eletto. Punto
Perché? Semplice. Meloni non vuole condizionamenti e chi prende il 40 prende anche il 55 per cento degli eletti per sé. E tuttavia il parterre volenteroso della mediazione fallita resta ampio e vi aderiscono anche altri maggioritaristi mai pentiti: Salvati, Vassallo, Serena Sileoni. Gran cerimoniere s’è detto è stato Antonio Polito terzista moderato ex PCI Unità. Che ha lanciato l’iniziativa. La quale propone in sintesi due cose. Anzi tre. Ideologia bipartisan. Basta conflitto, pace e bene tra destra sinistra. Poi, partire dai poteri del premier e non dal plebiscito che liquiderebbe il ruolo del colle. E infine, ecco il punto comune con la destra – che la reputa insufficiente – il nome del premier sulla scheda. Espediente tuttavia giudicato già incongruo dalla Corte per Italicum nel 2016, poiché di fatto il nome sulla scheda è premierale dunque non costituzionale, perché di fatto vincola ad una scelta “direttista” limitando il potere del Colle. E il parlamento.
E però la ministra Casellati ha avuto buon gioco nel dimostrare che nome su scheda è già premierato. Insomma la mediazione basata su nome del premier su scheda sarebbe l’ennesimo equivoco. Una specie di vorrei ma non posso da parte dei pontieri. E cioè : il Melonato limitato, che non cambia l’elezione diretta, e che non esiste in nessuna parte del mondo! Lo ricordava Sartori a D’Alema nel 1997 che per primo lo tirò fuori. Manco in GB esiste, dove vige il maggioritario stretto ma dove decide il parlamento, e formalmente su tale base la Corona. Di fatto poi questo tentativo alla Polito dovrebbe essere legato in ogni caso ad un maggioritario stringente che assicuri a lista o partito le maggioranza assoluta. In pratica lo stesso del premierato di Meloni senza premier di riserva, già in parte cassato, perché se si parte dal premier secco senza se e ma decide lui, a meno che non sia sfiduciato. Dunque ci si deve opporre in radice a questo pasticcio che confonde ancor più gli elettori. Conferma di fatto la proposta di destra. Implica un maggioritario totale, conferma con nome su scheda la riduzione dei poteri arbitrali del Colle. Ed espropria gli elettori, consegnando di fatto tutto il potere ad una sola persona, tutto il potere esecutivo con il 40 per cento dei voti! Ad un premier di minoranza, che prende tutto. Infine sarebbe un sistema che rafforza i partiti personali del leader con relative ammucchiate. Ovvero tutto ciò a cui ci portò il maggioritarismo trasversale e trasformista, svuota partiti e identità collettive. Come il pd di Veltroni. Con il vantaggio al momento per Giorgia, grazie ai mediatori, di dividere l’opposizione e legittimare idealmente la sua sfida, facendo leva sul centro renziano e non che ancora condiziona il Pd. Dunque meglio la chiarezza. Più proficuo il confronto netto e senza equivoci. In Parlamento. Tra idea di fatto presidenzialista e democrazia parlamentare anche con maggiori poteri del premier, e ruolo intatto del Quirinale al di sopra delle parti. Viceversa con pasticci la confusione andrebbe all’apice, stancherebbe gli elettori e rischierebbe anche di far passare una legge truffa maggioritaria senza eguali. Si prende tutto il potere con il 40 per cento. E in sol colpo. Anche perché la legge che c’è basta e avanza per governare, benché bisognosa di preferenze. E inoltre con il premierato si rafforza il pericolo della autonomia differenziata che con il premier eletto sarebbe blindata, a meno di un difficile referendum abrogativo.
Insomma, premierato e secessione strisciante vanno di pari passo. Con l’alibi che la donna o l’uomo solo al comando potrebbe sanare ogni frattura derivante da autonomia differenziata. E fu proprio questo binomio “centralismo e federalismo” il cavallo di battaglia della destra leghista delle origini, con l’autorità del giurista filosofo autoritario Gianfranco Miglio – seguace del nazista Carl Schmitt – che teorizzava Magna Grecia, nazione Celto gallica, ed Etruria!
E per concludere proprio l’assemblea romana dei pontieri radunati da Antonio Polito – finita senza alcuna concessione da parte della Casellati ministro per le Riforme – dimostra quanto segue . La destra di governo vuol cambiare da cima a fondo la democrazia parlamentare nata nel 1948. Non migliorarla. O renderla più efficiente. Una vera e propria rivoluzione conservatrice. Culturale e politica. E intende tirar dritto senza spazio alcuno a mediazioni di sorta su questo punto generale per essa dirimente. E occorre esserne consapevoli senza equivoci di sorta. Ben per questo la Meloni chiama la sua riforma “madre di tutte le battaglie” con frase di Saddam Hussein. E inchioda tutta la sua legislatura a questo obiettivo totale.