fbpx
Home Politica I disastri dell’autonomia differenziata nella sanità.

I disastri dell’autonomia differenziata nella sanità.

by Pietro Spirito
0 comment

Presso l’ospedale Antonio Cardarelli, la più grande struttura sanitaria del Sud, si è svolto il dibattito su “L’impatto della autonomia differenziata sulla sanità del Mezzogiorno”. La discussione è stata coordinata dal direttore de Il Mattino, Francesco De Core. Ad introdurre i lavori è stato il direttore generale del Cardarelli, Antonio d’Amore, che ha sottolineato l’importanza di ragionare sugli impatti che si potranno determinare per effetto della autonomia differenziata sulla struttura del servizio sanitario, che richiede una programmazione di medio periodo.

Nel settore della sanità, investimenti in innovazione tecnologica, concorsi per il reclutamento, livelli di assistenza dipendono in modo stretto dai finanziamenti disponibili e dalla articolazione delle strutture organizzative. Se fosse attuata, la riforma della autonomia differenziata avrebbe un impatto molto rilevante in senso negativo sul futuro del servizio sanitario.

Monsignor Antonio De Donna, Presidenza della Conferenza Episcopale campana, si è dichiarato molto preoccupato sulle prospettive che si apriranno per l’intera comunità nazionale nell’orizzonte della autonomia differenziata. Se è certamente vero che questa prospettiva è definita nella stessa riforma costituzionale del 2001, le modalità con le quali questo percorso sarò realizzato stanno entrando in rotta di collisione con alcuni dei principi fondamentali della nostra Carta. Si prospetta una grave frammentazione nella erogazione dei servizi fondamentali.

L’autonomia differenziata, più che renderci maggiormente autonomi, ci renderà più soli. Già oggi nel Mezzogiorno l’aspettativa di vita è inferiore ci quasi tre anni rispetto al resto del Paese. Avremo un Paese che accentuerà quella doppia velocità che ha già caratterizzato gli ultimi decenni.

Si sta realizzando, secondo Monsignor De Donna, una sostanziale secessione dei ricchi. Preoccupa anche una dichiarazione del Ministro Matteo Salvini, il quale detto che l’autonomia differenziata non è un punto di arrivo ma un punto di partenza: non vorremmo che fosse un passaggio verso la costituzione di una macroregione del Nord.

Questa autonomia differenziata è l’esatto opposto del federalismo solidale, che tiene assieme la solidarietà e la sussidiarietà, per allargare gli spazi di democrazia in un orizzonte di giustizia sociale. L’antinomia che c’è tra queste due prospettive dovrebbe essere tenuta in considerazione dai politici che dicono di richiamarsi alla dottrina sociale della Chiesa, ma che poi operano in direzione simmetricamente contraria.

L’assessore al bilancio della regione Campania, Ettore Cinque, ha ricordato, per cercare di comprendere le caratteristiche ideologiche che sono alla base della attuale versione della autonomia differenziata, un suo contraddittorio con il presidente del Veneto, Luca Zaia, il quale in un incontro gli chiede: “Chi ha più bisogno?”. Alla risposta che ha più bisogno chi ha meno, la replica fu: “Chi aveva e non ha più”. Il risentimento del Nord – dopo la lunga stagione di perdita di competitività e di arretramento dal ruolo di locomotiva del Paese – ha condotto al ripiegamento verso una protezione localistica degli interessi, anche rompendo il cordone ombelicale della solidarietà nazionale.

Cinque ha ricordato che oggi la sanità viene finanziata per il 70% dalla compartecipazione all’imposta sul valore aggiunto, bilanciata da un fondo di solidarietà finalizzato a mettere a disposizione risorse alle regioni con maggiore capacità di produrre gettito fiscale.

Per la Campania, su un bilancio sanitario annuo complessivo di 11 miliardi di euro, 5 derivano dal fondo. A tale fondo la sola Lombardia risulta contributore per 5 miliardi di euro. Quali saranno i meccanismi perequativi nella prospettiva dalla autonomia differenziata non è dato sapere.

A fornire un quadro dettagliato sui numeri della sanità è stato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe, che svolge da tempo un prezioso lavoro di analisi sulle dinamiche del servizio sanitario nel nostro Paese. A più di 45 anni dalla nascita del SSN occorre interrogarsi su cosa è rimasto dei principi informatori di quella strategica riforma. Universalità, uguaglianza ed equità: cosa è rimesto dei pilatri della riforma sanitaria?

Tra il 2010 ed il 2019 le risorse destinate complessivamente alla sanità sono cresciuta ad un ritmo largamente inferiore alla inflazione, vale a dire che si sono sostanzialmente ridotte in termini reali: dai 105,6 miliardi del 2010 ai 115,8 miliardi del 2019, sostanzialmente circa un miliardo all’anno.

Con la pandemia si è determinata una impennata di spesa, strettamente connessa alle azioni di contrasto del Covid 2019. Si è arrivati ai 128,9 miliardi del 2023. Nel prossimo anno apparentemente si aggiungono altri 3 miliardi, ma buona parte di questo aumento (l’80%) è connesso alle risorse legate al rinnovo del contratto di lavoro del settore.  Stiamo tornando all’andamento tendenziale del periodo precedente.

Seguendo questo percorso siamo ormai in presenza di una privatizzazione strisciante della sanità, decisamente fuori dalla rotta della riforma del SSN. I livelli essenziali di assistenza (LEA) non sono finanziati e la solidarietà insita nel disegno originario non solo si è spezzata, ma tende a crescere nel corso del tempo.

La stagione della manutenzione ordinaria del servizio sanitario nazionale è finita. Con questo livello di risorse stanziate e con un tendenziale incremento delle differenze tra i territori. L’alternativa sta solo nel rilancio del disegno originario oppure nella affermazione di un sistema misto in cui la sanità privata avrà un ruolo crescente, con le inevitabili diseguaglianze che seguiranno.

Nel suo intervento Riccardo Realfonso, docente di Fondamenti di economia politica all’Università del Sannio, ha sottolineato le conseguenze del disegno di legge Calderoli anche sul ruolo del Parlamento, che si troverà sostanzialmente spogliato del suo ruolo di espressione della sovranità popolare, in un dialogo stretto tra Governo nazionale e Governi regionali.

I livelli essenziali di prestazione, poi, sono un semplice artificio retorico, perché, non essendo finanziati e non essendo nemmeno fattore bloccante delle intese, saranno solo il segnalatore delle diseguaglianze, come oggi accade con i livelli essenziali di assistenza nella sanità. Del resto, sono passati ventitré anni dal momento nel quale, per indicazione della riforma costituzionale, si sarebbe dovuto provvedere alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.

In ogni passaggio in cui si sarebbe dovuto determinare un intervento di riequilibrio delle differenze territoriali si è data prova di una assoluta mancanza di volontà politica, Sulle infrastrutture era stato costituito un fondo di perequazione pari a 4,6 miliardi di euro, poi definanziato per 3,7 miliardi, lasciando solo 900 milioni, risorse evidentemente del tutto inadeguate per mettere in campo una azione minimamente significativa.

A chiudere il convegno è stato il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Folgorato sulla via di Damasco dopo essere stato nel 2019 uno dei quattro presidenti di Regione che aveva propugnato l’autonomia differenziata, oggi il giudizio su questa riforma è netto e severo,

Anzi, il Presidente si è scagliato contro i troppi disertori meridionali ed ha invitato a tenere la testa alta, come lui stesso ha insegnato educando i figli. con le parole di Lucio Anneo Seneca: “Vivere militare est”. Siamo tutti più sollevati.

Per il Presidente De Luca è difficile trovare il coraggio della libertà, perché i diritti vanno conquistati e difesi. La Campania ha amministrato la sanità con rigore spartano ed ha dimostrato il massimo della efficienza con le risorse disponibili. Nessuno può e deve dare lezioni.

Al di là delle stravaganze retoriche, Vincenzo De Luca ha messo in inevidenza una serie di fatti non contestabili. Le dotazioni finanziarie della sanità meridionale non sono adeguate né per assicurare le ordinarie prestazioni ai cittadini né per recuperare il gap di deficit di assistenza che è maturato nell’arco dei decenni.

L’autonomia differenziata è stata concepita con una impostazione contabile che tende non solo a consolidare ma anche ad acuire le differenze territoriali che sono maturate nel nostro Paese. La questione meridionale è uscita dalla agenda delle forze politiche e questo elemento determina un blocco allo sviluppo per l’Italia nel suo insieme.

Il disegno di legge Calderoli è una legge truffa. Oltretutto prevede che dopo dieci anni si possa rivedere l’intero disegno. La definizione dei livelli essenziali di prestazioni non è stata affidata ad un organismo tecnico neutrale, come l’ufficio parlamentare di bilancio, ma ad una pletorica commissione che sta solo perdendo tempo.

Insomma, dalla discussione che si è tenuta al Cardarelli appare evidente che il progresso della autonomia differenziata segnala due elementi dominanti; da un lato il consolidamento e l’approfondimento delle differenze territoriali, con la cancellazione della questione meridionale, e dall’altro l’avanzamento di una ulteriore privatizzazione dei servizi collettivi, a cominciare dalla sanità.

Entrambi questi vettori sono in progresso da tempo, in un contesto politico di distrazione da parte degli elettori. Ma l’autonomia differenziata costituirà un fattore di potente accelerazione in tale direzione. A rimetterci saranno i principi fondamentali della Costituzione, oltre che i livelli di qualità della vita dei cittadini. Non resta molto tempo per fare sentire i valori di una nazione solidale capace di guardare al futuro preservando il meglio di quello che era stato costruito.