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I colloqui di Riad, non è stato siglato nulla!

la pace deve ancora aspettare

by Luigi Gravagnuolo
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Foto by Arab News

 

Non vogliamo sottovalutare i piccoli passi avanti pur fatti in direzione della pace ad inizio di questa settimana a Riad, solo de-propagandizzare, per così dire, le risultanze dei colloqui tenuti per iniziativa della nuova amministrazione USA nella capitale dell’Arabia Saudita.

Le trattative si sono svolte su tavoli separati USA-Ucraina e USA-Russia. Tutte e tre le delegazioni arrivate a Riad sono state di alto profilo. Capeggiate da Marco Rubio, Segretario di Stato, per gli USA; dal Ministro Lavrov per la Federazione Russa; e dal ministro Rustem Umerov, per l’Ucraina. Ma con quali mandati ed obiettivi e, più ancora, con quali stati d’animo le tre delegazioni sono arrivate a Riad?

I due Paesi in guerra sono entrambi stremati da tre anni di ferocia inaudita. Entrambi hanno bisogno di pace, o quanto meno di una pausa. Ma entrambi non possono mettere fine alle ostilità senza aver portato a casa una ‘vittoria’. Per parafrasare Gogol, le anime dei morti sono lì in agguato, pronte a riscuotere la propria vendetta da chi ne uscirà sconfitto.

Sotto questo rispetto la mediazione degli USA è insieme in qualche modo facilitata e complicata. Facilitata perché entrambi i contendenti sono stanchi della guerra, complicata perché nessuno dei due vuole e può perdere.

Trump si è imbarcato in questa difficile impresa per interesse predatorio, strategico e propagandistico. Cominciamo da quest’ultimo.

Da tre anni, da quando è iniziata l’aggressione russa all’Ucraina, il tycoon va ripetendo ossessivamente che, se ci fosse stato lui alla Casa Bianca invece che quell’imbecille di Biden – parole sue – la guerra non sarebbe neanche scoppiata. E per altrettanti anni ha promesso agli Americani e al mondo che, se fosse stato eletto nel ‘24, avrebbe assicurato la pace in tre giorni. Ora, eletto a furor di popolo, deve dimostrare che non raccontava millanterie.

Il lettore ricorderà certamente dello scorso 2 marzo, quando il tycoon invitò alla Casa Bianca il presidente Zelenskij a discutere a favor di telecamere di tregua e di terre rare da concedere in sfruttamento agli USA. Il suo unico scopo era di dimostrare al mondo intero che, come promesso, in pochi giorni aveva domato il bisbetico premier ucraino, estorcendogli anche lo sfruttamento delle terre rare. Se quell’inetto di Biden gli avesse dato subito un calcio in culo, il comico fallito (Zelenskij) non avrebbe osato sfidare il buon Putin. Si irritò perciò non poco quando, con sua sorpresa, Zelenskij difese la dignità sua e quella del suo popolo senza indietreggiare di un centimetro. Al punto che lo cacciò fuori dal palazzo. L’interesse propagandistico volto a dare di sé l’immagine dell’unto dal Signore era stato vanificato da quell’impertinente. Lui però non può e non vuole fallire. Verificata l’inefficacia delle successive minacce a Zelenskij, ha finalmente preso atto che il ‘comico fallito’ ha dietro di sé un popolo indomabile, per niente disposto a tornare sotto il giogo dell’orso moscovita e sta cambiando registro. Deve procedere con maggior cautela e, a Riad – in campo neutro stavolta – ha accettato di tenere in pari dignità il tavolo con Mosca e quello con Kyiv. Voleva così portare a casa un risultato, per lo meno un cessate il fuoco temporaneo. Ha tirato fuori poco più che il classico ragno dal buco.

Dicevamo anche dell’interesse predatorio e di quello politico. Quanto all’interesse predatorio, al momento l’accordo sulle terre rare non è stato ancora siglato, pur se in itinere a quanto pare.

Sotto il rispetto geopolitico non ha ottenuto per ora un reale allontanamento di Mosca da Pechino, suo obiettivo dichiarato.

Passiamo alla Russia. Il gioco di Putin è diventato rischioso. Ormai l’economia della Federazione Russa e la sua stessa tenuta militare al fronte dipendono in larga misura da Cina, Nord Corea e Iran. Una dipendenza peraltro sconveniente, ai limiti dell’umiliante per Mosca. La Cina acquista da essa petrolio, gas ed altre materie prime a prezzi stracciati, pagandoli in yuan e con cambiali. La Corea del Nord finora ha fornito poco più che ferraglia buona solo per sparare nei mucchi, e un manipolo di detenuti liberati all’uopo, sbandati e privi di addestramento militare, liquidato dagli Ucraini in pochi giorni. L’Iran continua a fornire i droni shahed, molto efficienti, ma è in crescente difficoltà a reggere il supporto contemporaneo a Houti, Hamas e Hezbollah, incalzati da Israele e Stati Uniti, e quello a Putin. Oltre a doversi attrezzare per difendere il proprio suolo sotto minaccia. Dunque, al di là delle roboanti dichiarazioni di vittoria ad uso di propaganda interna, lo zar sta in grande difficoltà. Ha bisogno come l’aria di riallacciare le relazioni commerciali con l’Occidente, ma per farlo deve voltare la faccia a Cina, Corea del Nord e Iran, pagandone il conseguente costo. Né può uscirsene con le pive nel sacco. Sa bene lo zar che ottocentomila giovani mandati al macello in Ucraina, tra caduti e mutilati, non resteranno a lungo nell’oblio senza passare a riscuotere. La fine dell’URSS – lui lo sa bene – iniziò con la ritirata dall’Afghanistan. E lì erano caduti ‘solo’ 26mila soldati.

La delegazione ucraina infine. E’ arrivata a Riad carica di diffidenza. A Kyiv nessuno ha mai creduto ai trattati con Putin. Pronta a discutere, avrebbe preteso però garanzie ferree sul rispetto dell’eventuale cessate il fuoco da parte di Mosca. E avrebbe assentito a concedere lo sfruttamento delle materie rare a Trump a patto e condizione. Non certo a mo’ di saldo di un debito mai contratto con gli USA, come pretende il tycoon.

Alla fine non c’è stato alcun atto sottoscritto dalle parti. Solo dichiarazioni unilaterali nelle quali ognuno ha raccontato la sua sulle (fra)intese raggiunte. Facendo la tara delle rispettive propagande, grosso modo le tre delegazioni avrebbero – il condizionale è d’obbligo – concordato:

1. La sospensione da parte di entrambe le parti dei bombardamenti sulle infrastrutture energetiche.

2. Una tregua nel Mar Nero finalizzata a garantire una navigazione sicura per il commercio e ad impedire l’uso di navi commerciali per scopi militari. La dichiarazione russa aggiunge che la tregua entrerà in vigore quando saranno adottate misure di controllo “attraverso l’ispezione delle navi”, per verificare che i mercantili non trasportino armi da consegnare all’Ucraina, ma di questa clausola non c’è traccia nelle dichiarazioni dell’Ucraina.

3. Gli Stati Uniti si sarebbero impegnati a contribuire a “ripristinare l’accesso delle esportazioni russe di prodotti agricoli e fertilizzanti al mercato mondiale, a ridurre il costo delle assicurazioni marittime e ad ampliare l’accesso ai porti e ai sistemi di pagamento per condurre tali transazioni”, ma di ciò solo vaghi cenni nelle dichiarazioni americane.

4. Infine una intensificazione dello scambio di prigionieri, con la restituzione dei bambini ucraini ‘rapiti’ dai Russi alle rispettive famiglie.

La Russia ha chiesto anche la revoca delle sanzioni.

Alcune piccole note per chiudere:

Ø la Russia è disposta a trattare solo se viene messa militarmente nell’angolo, com’è nel Mar Nero e per le infrastrutture energetiche, oggi vulnerabili e colpite più volte dai missili ucraini.

Ø Nessuno, meno che mai Trump, ha chiesto o ottenuto la sospensione dei bombardamenti sulle postazioni civili – stazioni, ospedali, scuole… – che stanno continuando senza sosta. Non avrebbe dovuto essere questo il primo obiettivo della tregua?

Ø A dispetto dell’impegno allo scambio dei prigionieri, i tribunali russi hanno cominciato a comminare l’ergastolo a molti prigionieri ucraini, condannandoli per ‘terrorismo’.

In breve, a Riad non è stata siglata alcuna tregua, la pace deve ancora aspettare.