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I.A.G. l’umano oltre i suoi confini

by Bruno Gravagnuolo
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La frontiera del nuovo capitalismo planetario, che tale è ormai il capitalismo, oltre i singoli Imperi, si chiama IAG. Sì, come lo Jago, l’incarnazione del male in Shakespeare. Significa: Intelligenza Artificiale Generativa.

Non meramente linguistica come fin qui. Di ricerca e assemblaggio dati e significati, ma generatrice di scoperte e di verità: fisiche e previsionali. In altri termini Open AII – società all’inizio no profit, con dentro oggi Microsoft al 49% dell’azionariato – avrebbe sviluppato un programma Q. Codice Q. Che vuol dire un programma non più basato su previsione, anticipazione e ricerca dati all’interno di una griglia di informazioni disponibili e attingibili da tutti i motori di ricerca disponibili. Bensì tramite algoritmi in grado di generare ragionamento, istinto, giudizio nel chat box. Di mettersi nei panni della natura e degli agenti umani. Con creazione di risposte e dati che non ci sono nelle informazioni già a disposizione. O che non si vedono. Né sono impliciti nel corredo di dati ai quali la macchina può attingere.

Ovviamente si tratta di macchine che si aggiornano costantemente e continuamente. Il che significa auto generatività ex nihilo, o meglio dal non essere o non esistere, di conoscenza non implicita nelle premesse date.

Capite bene che qui non si tratta solo di previsioni. O profilazioni dell’utente, di fake news politiche o di artefatti visuali o artistici. E nemmeno di labour saving con la nullificazione di mansioni a miliardi!

Il dispositivo generativo in questo caso annulla anche il decisore. Si autoalimenta e si fonde con lui. Diviene una protesi attiva che non si limita ad interagire con l’operatore, ma fornisce soluzioni, diagnosi e scenari impensati.

Certo si può dire che a monte possono esserci regole tecniche che interdicano domande o input di un certo tipo. Ad esempio: si tramuta un vissuto in un pezzo di persona sostituendo lembi di tessuto cerebrale? Oppure, come produrre un essere intelligente a due teste perfettamente funzionante e in grado di riprodursi? O programmare un essere geneticamente perfetto e durevole?

E poi si può anche decidere a valle di bloccare la catena e le applicazioni dell’uso. Decidono i decisori. Su base tuttavia regolata giuridicamente.

Ma voi capite che se il criterio dominante è quello performante di efficienza e conseguimento risultato-profitto-persuasione, allora chi possiede la IAG possiede tutto: politica, scienza, vita degli altri, beni, denaro.

Un moloch concreto su cui già i giganti del web si sbranano, vedi ciò che accade in Open AII con Microsoft, che vuole tutto il pacchetto di azioni a partire dal suo 49% già acquisito. Occorre cominciare a parlarne sul serio. Perché questo tema va ben oltre patriarcato etc.

Il rischio attuale già in atto è la nascita di oligarchie tecnico finanziarie e militari che, con chiavi d’accesso esclusive, facciano blocco con le macchine e decidano dove e come deve andare il pianeta, naturalmente il tutto sempre nel conflitto tra le élites planetarie. E con dentro masse colonizzate e partecipi. Utenti, risparmiatori, lavoratori flessibili. Perché la tecnica non è affatto neutrale come pensavano Heidegger e Severino – ma non Weber né Marx – bensì guidata da interessi e valori politeisti di massa, ben situati storicamente, con ciascuno dei quali che aspira al dominio identitario. Con ogni mezzo.

L’intelligenza artificiale è nata in ambito capitalistico come sperimentazione no profit sull’onda di preoccupazioni umanitarie e oggi tuttavia è un bene imitabile o disponibile sul mercato globale. Non ha nulla a che fare con il deep web o con le cyber war. È una ben precisa tecnica di algoritmi in grado di scovare soluzioni ai problemi posti da chi la maneggia. Scenari alternativi. Diagnosi mediche. Opzioni di investimento finanziario basate sui comportamenti statistici degli attori.

Già oggi se si usano siti economici come “Investing”, il maggiore per gli operatori finanziari, ci si trova davanti a veri e propri editoriali che paiono scritti da economisti problematici e prudenti. Salvo scoprire alla fine che l’editorialista in questione che firma l’articolo è una macchina. In tutto e per tutto umana e fin troppo umana. Una macchina pensante come una mente umana. Che si mette di volta in volta nei panni degli interlocutori e dei lettori con tutti i dubbi del caso, proprio come una mente umana che ragiona e comunica ad alta voce. Una sorta di empatia artificiale.

Insomma, nello scenario globale l’intelligenza artificiale post umana rappresenta già una potentissima simbiosi che porta l’umano oltre i suoi confini. Anzi annulla tendenzialmente ogni confine tra umano e non umano. Il che non significa che la macchina prenderà il posto dell’umano come il Golem della leggenda, bensì che la nuova umanità sarà forse una nuova umanità di titani elettronici radicati nelle potenze imperiali e finanziarie dominanti, con miliardi di formiche obbedienti e inconsapevoli.