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I 100 anni di Eugenio Scalfari

by Bruno Gravagnuolo
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Ph. la Repubblica

 

Ieri Eugenio Scalfari avrebbe compiuto 100 anni. Il Giornale gli dedica un velenoso ritratto dove l’unica cosa sensata è il riconoscimento che fu un grande imprenditore editoriale. È vero. Figlio dell’ Amministratore del Casinò di San Remo e nativo di Civitavecchia, fu un gran giocatore di progetti senza badare troppo a chi lo finanziava ma con in testa una idea semplice: fare del liberalismo di sinistra radicale la cifra vincente della sinistra italiana. Laddove invece il partito d’Azione aveva fallito, e in una con Nenni, nel contendere l’ egemonia al PCI. Insomma, l’idea geniale scalfariana fu quella di conquistare il cuore del PCI. Ponendosi come garante della sua “mutazione” democratica agli occhi della borghesia illuminata italiana, di cui grazie alla Fiat e a Caracciolo aveva conquistato la fiducia. Grazie anche ad una violenta campagna contro l’industria di Stato: la razza padrona. Di cui pure egli aveva cercato l’aiuto, tra la vicenda del Mondo e quella de l’Espresso. Grande innovatore senza dubbio. Con il settimanale radical progressista contro Sifar e sacco di Roma, stragi di Stato e 1968, consumo culturale e avanguardie come gioco di società. E con in più l’intonazione laica e azionista di Nord e Sud condita anche di frivolezze e snobismo. Tutte cose trasferite nel suo capolavoro: La Repubblica del 1976. Format di giornalismo grintoso e sfrontato che portava dentro di sé il meglio di Paese Sera e l’Unità. Macchina e firme. Due le anime. Scalfari e Pirani. La seconda socialista, ma già sperimentata nelle avventure Psi di Scalfari e Jannuzzi. Il Pisacane poi finito a destra. E poi la prima anima, quella vera di Scalfari, azionista e liberale di sinistra, sconfitta al tempo in cui “Barbapapà” tentò di togliere il PLI a Malagodi. Ma riproposta poi sul piano trasversale e giornalistico d’assalto quando Scalfari vince alla grande. Dalla metà dei ’70. Nasce così il Partito di Repubblica. Filosocialista con brio, fino al secondo Craxi – il tristo Ghino di Tacco – ma anche Demitiana per un po’ nel senso modernista. Filo PCI ma critica della sua natura di classe e inglobatrice della sua diversità. Istituzionale e amendoliana su debito e inflazione, con Bruno Visentini, finanche presidenzialista con la cuspide del Colle a garanzia di emergenza. Anti Berlusconiana dal tempo dell’assalto a Mondadori e alla SME. Civilmente progressista. E tuttavia l’animo del progetto restava più ambizioso: trasformare il PCI e il post PCI in un partito democratico interclassista e progressista. Fino ai fasti del De Benedetti tessera n. 1 del Pd. E proprietario per 93 miliardi della testata! Storica plusvalenza dello Scalfari imprenditore. E fino al celebre aforisma Scalfariano di otto anni fa: “Io sono il nonno di Renzi, figlio di Veltroni che è figlio mio”. Lapidaria e scherzosa sentenza, che ben riassume però la mission ben riuscita di Repubblica e il suo successo all’apogeo e prima della crisi, che oggi la vede quasi ostaggio nelle mani di Gedl e Molinari. Dunque fu Scalfari il Papa laico della sinistra demotica. Il grande egemone gramsciano della neo sinistra depotenziata e decollata. Il gran pontefice del PCI e post PCI privo di peccati e idoneo a governare, l’auctoritas che tutto il gruppo dirigente comunista impetrava e cercava, per farsi battezzare. Sacramento riuscito ed esorcismo coronato da successo, tra fine ‘900 e secolo presente. Ma con bizzarro risultato. Chiesa affondata e neo sinistra naufragata. Un volgo disperso che nome non ha più. Chiesa e fedeli convertiti accomunati in un unico destino.