L’Autore, Roberto Savio, consigliere di amministrazione della fondazioneitaliani.org, giornalista, esperto di comunicazione, commentatore politico, è stato fondatore e direttore di OtherNews. Nel 1964 ha fondato l’agenzia di stampa IPS, Inter Press Service, di cui è stato Direttore Generale per molti anni e ora ne è Presidente Onorario. È direttore internazionale dell’European Center for Peace and Development. Ha fondato varie organizzazioni internazionali, come il Forum Sociale Mondiale e ha lavorato nel sistema delle Nazioni Unite e come consulente di comunicazione in diversi Paesi del Terzo Mondo.
Con la morte di Mikhaïl Gorbačëv scompare l’ultimo grande statista, ed una intera epoca. Ho avuto il privilegio di lavorare con lui, come vicedirettore del Foro Politico Mondiale, che Gorbi aveva fondato a Torino nel 2003, con un accordo di sede con la Regione Piemonte. Il Foro riuniva personalità di tutto il mondo, per discutere quanto accadeva. I più grandi protagonisti internazionali, da Kohl a Mitterrand, da Jaruzelski a Oscar Arias, discutevano con franchezza del loro ruolo e dei loro errori. Mi ricorderò sempre un FPM nel 2007, in cui Gorbačëv ricordò ai presenti che aveva accettato in un incontro con Kohl, di ritirare l’appoggio al regime della Germania Orientale, in cambio della assicurazione che non si sarebbero spostate le frontiere della NATO, al di là della Germania riunificata. E Kohl che gli rispondeva, indicandogli Andreotti presente, che alcuni non erano poi così entusiasti che si tornasse a creare la più grande potenza europea prebellica, posizione condivisa dalla Thatcher. Andreotti aveva detto: io amo tanto la Germania che preferisco averne due. E la delegazione americana riconosceva l’impegno assunto, lamentando però che il Segretario di Stato Baker era stato sopraffatto dai falchi, che volevano continuare ad allargare la Nato e stringere la Russia in una camicia di forza. Il commento di Gorbi fu lapidario: invece di cooperare con una Russia che voleva proseguire in un cammino socialista di tipo nordico, vi siete affrettati a farla cadere, ed avuto YEl’cin, che era incondizionatamente vostro; ma da YEl’cin è nato Putin, che comincia a vedere le cose in tutt’altro modo.
Gorbačëv aveva cooperato con Reagan, per eliminare la guerra fredda. È divertente vedere la storiografia americana attribuire a Reagan la vittoria storica sul comunismo e la fine della Guerra Fredda. Ma senza Gorbačëv la potente ma spenta burocrazia sovietica avrebbe continuato a resistere, ed avrebbe sicuramente perso il potere. Ma non sarebbe caduto il muro di Berlino, e l’ondata di libertà della Europa Socialista sarebbe sicuramente arrivata dopo il mandato di Reagan.
Quanto Gorbačëv fosse intenzionato, ancor più di Reagan, ad avanzare sulla via della pace e del disarmo divenne chiaro dopo l’incontro del 1986 a Reykjavík. Gorbačëv propose a Reagan l’eliminazione totale dell’armamento atomico. Reagan disse che, per la differenza di fuso orario, avrebbe consultato più tardi Washington. Quando i due si incontrarono la mattina dopo, Reagan gli disse che gli Stati Uniti proponevano l’eliminazione del 40% delle testate nucleari. E Gorbačëv gli rispose: “se non puoi fare di più, cominciamo così. Ma ti ricordo che adesso possiamo distruggere il pianeta e l’umanità centinaia di volte”. Il tempo dimostrerà che disarmare la Russia nucleare era certamente nell’interesse americano, se solo il Segretario della Difesa, Caspar Weinberger – che arrivò a minacciare le dimissioni – avesse saputo guardare lontano.
YEl’cin fece di tutto per umiliare Gorbačëv. Gli tolse ogni pensione, ogni appannaggio, guardia del corpo, automobile di stato, e gli fece sgombrare il Cremlino in poche ore. Ma con Putin Gorbačëv diventò praticamente un nemico del popolo. La propaganda contro di lui fu rozza, pur se efficace. Gorbačëv aveva presieduto alla fine dell’Unione Sovietica “la grande tragedia”, ed aveva creduto all’Occidente. Ora l’URSS era accerchiata dalla Nato, e Putin si vedeva obbligato, in nome della storia, a recuperare almeno parte della grande potenza che Gorbačëv aveva dilapidato.
Chi è stato accanto a Gorbačëv ha visto come il vecchio statista, che aveva cambiato il corso della storia, soffrisse profondamente nel vedere la direzione che stava prendendo dall’arrivo di YEl’cin. Ovviamente, la stampa ha preferito ignorare la profonda corruzione dell’epoca YEl’cin, che è costata sacrifici terribili al popolo russo. Un team di economisti americani ha provveduto, sotto YEl’cin, ad emanare decreti che privatizzano tutta la economia russa, con un crollo immediato del valore del rublo e dei servizi sociali. L’aspettativa di vita media retrocesse di un sol colpo di dieci anni. Ebbi una grande impressione nello scoprire che la mia colazione la mattina nell’albergo costava quanto una pensione media mensile. Dava una profonda tristezza vedere tante vecchiette vestite di nero che vendevano per strada i loro pochi e poveri oggetti personali.
Nel contempo alcuni funzionari di partito, amici di YEl’cin, compravano a prezzi stracciati le grandi imprese statali messe in vendita. Ma come facevano, in una società dove non esistevano ricchi? Giulietto Chiesa lo ha documentato in una inchiesta su La Stampa di Torino: su pressione americana, Il Fondo Monetario Internazionale concesse un prestito di emergenza di cinque miliardi di dollari (del 1990) per stabilizzare il rublo. Questi dollari non arrivarono mai nella Banca Centrale Russa, né il FMI sollevò mai nessuna questione. Furono distribuiti fra i futuri oligarchi, che di colpo si trovarono favolosamente milionari.
Quando YEl’cin dovette lasciare il potere, cercò un successore che garantisse impunità a lui ed ai suoi amici. Un suo consigliere gli presentò Vladimir Putin, dicendo che questi poteva domare la rivolta in Cecenia. E Putin accettò a una condizione, che gli oligarchi non si mettessero mai in politica. Uno di essi, Michail Borisovič Chodorkovskij, non rispettò i patti ed aprì un fronte di opposizione a YEl’cin. Conosciamo il suo destino: spogliato di ogni proprietà ed incarcerato. È stata la sola comparsa di un oligarca in politica.
Gorbačëv è l’ultimo statista. Con l’arrivo della Lega a Torino, l’accordo di sede del Foro Politico Mondiale venne con suo grande stupore cancellato. Il Foro si trasferì a Lussemburgo e poi la Fondazione Italiani a Roma ne rilevò alcune attività sui problemi dell’ambiente (con molta preveggenza). Il braccio destro di Gorbačëv, Andreï Gratchev, portavoce di Gorbi nel PCUS e nella fase di transizione alla democrazia, brillante analista, si è trasferito a Parigi, dove è il punto di riferimento dei dibattiti sulla Russia.
Gorbi, malato di diabete, ha vissuto la guerra in Ucraina come un dramma personale, sua madre era ucraina. Si è ritirato in un ospedale, sotto stretta sorveglianza ove infine è morto.
L’epoca degli statisti è finita, ed anche quella dei dibattiti di grandi protagonisti della storia. Dopo Gorbačëv i politici hanno perso la dimensione di statisti. Si sono andati man mano ripiegando alle esigenze del successo elettorale, alla politica a tempo corto, all’accantonamento di dibattiti di idee, per invece rivolgersi non alla ragione, ma agli istinti degli elettori. Istinti da sollecitare e da conquistare, anche con una campagna incessante di fake news. Una scuola che Trump è riuscito a esportare nel mondo, dalla votazione sulla costituzione in Cile il 4 settembre, a Bolsonaro, a Marcos, a Putin e per conseguenza a Zelens’kyj.
Ed io mi ritrovo a scrivere la mia amarezza, il mio sconforto, non solo per la morte di un mio maestro (come lo fu Aldo Moro), ma per un’epoca che pare ormai definitivamente tramontata, quella della Politica con la P maiuscola, capace di sconvolgere il mondo che si incontrava, con grandi rischi e con i grandi obbiettivi della Pace e della Cooperazione Internazionale. Ed a scrivere delle verità incomode, conosciute da pochi, che saranno subito sepolte da interventi ostili e dileggi. Andreï mi ha detto poco fa per telefono: Roberto, il mio e tuo errore, è stato quello di essere sopravvissuti alla nostra epoca; stiamo anche attenti, perché finiremo per dare fastidio…