Odessa
In queste giornate, una parte non insignificante del Paese si schiera con una potenza sostanzialmente a noi ostile, in nome di un preteso pacifismo, e si arroga una superiorità morale rispetto a chi non lo propugni, quasi che ogni diversa scelta fosse indice di amore per le armi e la guerra e non invece di un’opinione diversa su come conseguire la pace.
Nel campo opposto, una reazione istintiva è di sentirsi traditi da chi pare agire come una quinta colonna di quella potenza ostile e di prendersela con il proprio Paese nel suo insieme, perché mostra scarsa coesione e la mancanza di una spina dorsale comune. Questa constatazione è spesso accompagnata da un sospiro malinconico che sembra sottendere il desiderio di appartenere ad un Paese più semplice e compatto, benché non venga mai chiarito quale dovrebbe essere il nostro modello. Ma, di fatto, la questione mette in discussione in primissimo luogo il nostro senso di patria.
Riusciamo ancora a identificarci con questo Paese? O ci consideriamo sotto sotto superiori ad esso?
In realtà la guerra in Ucraina, su cui ci accapigliamo, chiama a rapporto molto più i nostri giudizi morali che i nostri interessi diretti. Ben pochi di noi sono infatti, per fortuna, chiamati a mettere in gioco, non dico la vita propria o di propri cari, ma neppure il portafoglio, per testimoniare in proprio ed in concreto la fedeltà alle idee che professiamo. Così come noi ci accapigliamo a sostenere la nostra squadra di calcio senza dover personalmente sostenere lo sforzo fisico della partita che si gioca in campo.
E allora forse dovremmo avere maggiore tolleranza nei confronti di chi ha una visione diversa, accettando che il desiderio di una pace equa e duratura rimane comunque l’obiettivo condiviso da tutti noi.
E dunque la ricerca dell’identità di patria che ci accomuna, della natura di quell’ “uniamci a coorte, siam pronti alla morte”, dovrebbe guardare soprattutto a quel senso di umanità di cui noi italiani siamo orgogliosi, a quella tolleranza e civiltà di costumi che, a somiglianza del mite e solare clima di cui gode il nostro Paese, contraddistingue agli occhi nostri, ma ugualmente agli occhi degli stranieri, il nostro carattere nazionale. E aiutarci a comprendere che la nostra politica nazionale non può essere altro che la proiezione della nostra visione del mondo più profonda, che sarebbe bene fossimo capaci di accettare consapevolmente, nel male come nel bene. L’Italia sa mostrarsi saggia e solida quando le vengono ben chiarite le poste in gioco, gli stakes, come si dice. My country, right or wrong?
Ma poi, se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che in Germania, come in Francia, si svolge lo stesso dibattito, con gli stessi effetti divisivi che da noi. Questo perché il dilemma su come schierarsi diviene tanto più divisivo quanto più gli interessi economici entrano in gioco, sotto forma di rincari delle bollette o perdite di mercati. Dunque, stiamo pure tranquilli. Non è impazzita la nostra Patria e non sono impazziti gli altri paesi europei, dove si dibatte così aspramente. Ora, con l’avanzare della guerra, quello che per noi era unicamente uno scontro di valori metterà anche alla prova la nostra coerenza nel sostenerli. Cosa più facile e meno costosa per alcuni (es. USA, Regno Unito, Polonia), che alla Russia erano da sempre meno legati.