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Gli artigli di Prodi

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Edmondo Berselli ha scritto che Romano Prodi gronda bonomia da tutti gli artigli. Questo è il profilo che emerge dalla biografia di Romano Prodi, scritta con Marco Ascione, “Strana vita, la mia” (Solferino editore).

Pugno di ferro in guanto di velluto, la storia accademica, economica e politica di Romano Prodi attraversa gli ultimi due decenni del secolo scorso ed il primo decennio del ventunesimo secolo. Due volte Presidente dell’Iri, due volte Presidente del Consiglio – sempre a distanza di un decennio tra l’uno e l’altro incarico – ed una volta presidente della Commissione Europea, Romano Prodi attraversa la storia della nostra Repubblica segnandone le recenti caratteristiche. Una vita sempre da protagonista, nel contesto italiano ed europeo, con un ostinato concetto dii squadra, senza mai valorizzare troppo l’individuo rispetto al collettivo.

Ottavo di nove figli, vive in una famiglia dove tutti studiavano attorno allo stesso tavolone rettangolare, a Reggio Emilia. Essere il penultimo in famiglia è stato il più grande insegnamento politico per Prodi: da un lato perché bisogna custodire lo spazio e dall’altro perché bisogna stare al proprio posto, in una continua ricerca di equilibrio. La famiglia è un riferimento costante, anche nei passaggi più importanti della vita pubblica. Quando la madre lo incontrò la prima volta dopo la sua nomina a Ministro, si rivolse a lui in dialetto: “Minesster, porta mo za al rossc” (Su Ministro, porta giù il pattume).

Romano Prodi cresce in un periodo di miseria. Nei primi anni Cinquanta la crisi delle Officine Reggiane, storica azienda di materiale bellico arrivata ad avere fino a 12mila dipendenti, mise in ginocchio la città.

Alle scuole medie Romano Prodi non si applicava granché, giocava più volentieri a pallone. In seconda media fu pure rimandato in inglese. Dopo l’esame di terza, i professori scrissero che era inadatto agli studi liceali. Fece di testa sua, e si iscrisse comunque al liceo. Poi, lo scenario cambiò radicalmente e Romano Prodi, cominciando il suo ostinato impegno nello studio, si classificò tra i migliori diplomati dell’Emilia. Vince una borsa di studio per frequentare l’Università Cattolica a Milano. Stavolta è un periodo di opportunità: tutto il gruppo, subito dopo la laurea, ricevette una decina di offerte di assunzione. Romano Prodi decide di continuare a studiare, alla London School of Economics, e poi si avvia alla carriera universitaria.

Nel 1982 viene nominato per la prima volta Presidente dell’Iri, con l’obiettivo di risanare il gruppo e di razionalizzare il portafoglio delle partecipazioni. Mette sul mercato Alfa Romeo, inizialmente nel disinteresse di Fiat. Poi, di fronte ad una concreta offerta della Ford, l’azienda torinese rilanciò migliorando l’offerta economica, rafforzando il posizionamento sul mercato nazionale.

Nel caso della SME, invece, Prodi non riuscì a salvaguardare la nazionalità dell’industria alimentare nazionale per lo scontro feroce con Bettino Craxi, suo acerrimo nemico.

Con Enrico Cuccia Prodi affila le armi e si scontra in diverse circostanze: prima sul progetto di internazionalizzazione e privatizzazione di Mediobanca e poi sul modello di privatizzazione delle aziende pubbliche, che Prodi voleva realizzare secondo il meccanismo dell’azionariato a proprietà diffusa, mentre secondo Cuccia le grandi famiglie del capitalismo italiano dovevano mantenerne la regia.

Romano Prodi in politica porta la sua storia di cattolico democratico adulto, che accetta la sfida di incrociare la cultura della sinistra riformista con i valori dell’economia sociale di mercato.

L’Ulivo è stata la stagione più fertile, con il tentativo di aprire la politica alla società civile. Ma il punto più alto è coinciso con la sconfitta più cocente: nel convegno di Gargonza del 1997, questa ipotesi viene spazzata via dalla nomenclatura dei partiti ed alla fine di questo percorso nasce un soggetto politico debole, da laboratorio, come Il Partito Democratico, che non suscita emozioni ed è solo l’esito di una fusione fredda tra leadership ormai esauste.

Anche in questo caso Romano Prodi si trova ad essere in qualche modo il testimone di questa sconfitta, con la sua mancata elezione a Presidente della Repubblica dopo la finta acclamazione plebiscitaria nell’assemblea dei grandi elettori del Partito Democratico. Era ormai chiaro che si confrontavano solo gruppo di potere e singole individualità.

Ora, a ottantadue anni, Romano Prodi è il testimone di una cultura e di una generazione. Rappresenta quella Italia che ha costruito lo sviluppo, che ha voluto partecipare alla costruzione europea, e che si trova ora di fronte ad una crisi difficile della componente politica all’interno della quale ha militato e si è riconosciuto.