L’anniversario della morte di Alcide De Gasperi ricade nei prossimi giorni, il 19 Agosto. Nel 1954 egli, circondato solo dai familiari, morì a Borgo di Valsugana. Era stato De Gasperi a traghettare l’Italia dal Regno alla Repubblica. Guidò infatti l’ultimo governo del Regno d’Italia, nominato da Umberto di Savoia, e restò in carica dal 10 Dicembre 1945 al 14 Luglio 1946, quando Enrico De Nicola, Capo provvisorio del neonato Stato Repubblicano, lo nominò a capo del secondo Governo che da lui prese il nome.
Alcide De Gasperi era stato comunque a lungo uno stimato dirigente e parlamentare del Partito Popolare di Don Luigi Sturzo. Finita tragicamente la guerra e chiusasi drammaticamente la vicenda del Fascismo, De Gasperi fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana. In piena guerra fredda il 18 aprile del 1948 la “sua” Democrazia Cristiana vinse col 48 per cento dei voti le elezioni nello scontro col fronte socialcomunista, guidato dal binomio Togliatti e Nenni, ma dominato da Togliatti, leader indiscusso di un partito di milioni di lavoratori.
Da Capo del Governo Italiano De Gasperi seppe dare prova di grande capacità sulla scena internazionale e la sua figura di grande politico, pur se rappresentante di un paese in ginocchio, si impose sulla scena internazionale. Il suo intervento alla Conferenza di pace di Parigi, nel 1946, ove difese i confini italiani è rimasto memorabile. De Gasperi infatti esordì dicendo: “Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”. Ma finì per sedersi al tavolo delle trattative con le potenze alleate facendo valere la propria capacità diplomatica.
La sua ultima battaglia parlamentare fu condotta per una legge in cui egli fortemente credeva, quella ribattezzata dalla opposizione socialcomunista “legge truffa” perché prevedeva un congruo premio di maggioranza per chi usciva vittorioso dalle urne. Oggi lo stesso meccanismo è accettato, anzi invocato, da ogni parte politica.
La battaglia per quella legge, forse troppo moderna, lo vide vittorioso soltanto in Parlamento, dove lottò come un leone contro chi lo accusava di mire autoritarie. Ma il premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale alle elezioni del ’53, non scattò per pochi voti. E i giovani leoni della Democrazia Cristiana – i quali già non lo vedevano più come leader indiscusso e indiscutibile – strumentalizzarono la sconfitta per metterlo da parte.
E De Gasperi ancora una volta con un gesto coraggioso e leonino si ritirò dalla vita pubblica, che intanto per alcune vicende di politica romana lo aveva addirittura contrapposto allo stesso papa Pio XII, suo vecchio amico.
Pochi giorni prima di morire aveva confidato alla figlia Romana: “Adesso ho fatto tutto ciò che era in mio potere, la mia coscienza è in pace”.
Sono parole che non tutti possono pronunciare al tramonto della vita. Egli, rimasto estraneo ai giochi di partito, morì come visse, senza lasciare ricchezze alla propria famiglia. Ma anche senza lasciare eredi alla sua altezza nel partito, perché la sua lezione non lasciò radicate eredità di pensiero e di azione. Con questo gigante della democrazia dovettero però misurarsi amici e avversari, indotti a rispettarne i valori. Mentre oggi molti nani, troppi nani, si aggirano tra le macerie dei valori perduti. Non spaventiamoci quindi se qualche volta ascoltiamo ruggiti che sembrano di leoni. Sono soltanto ruggiti di coniglio.