La recente, sconcertante e solitaria (a parte Cina e Corea del Nord) proibizione in Italia di ChatGPT, in nome di una presunta violazione della privacy dei dati, chiama in questione una scala delle priorità molto discutibile.
Vorrei parlare qui sia di ChatGPT, sia di privacy.
Nella comunicazione si è assistito a un dibattito a favore o contro l’Intelligenza Artificiale (IA), che può far perdere di vista i termini del problema.
Tanto per cominciare, si è considerato ChatGPT come il rappresentante ufficiale dell’IA quando, in realtà, quest’ultima è ormai in mezzo a noi da più o meno un quinquennio. Forse non ci chiediamo come faccia un telefonino a riconoscere i nostri volti, come facciano Google Foto o altri programmi di archiviazione di immagini a distinguere la foto di un cane o di un cavallo, dare un nome a un monumento o riconoscere una determinata pianta che vede in fotografia. Oppure Google a fornirci le sue ricerche anche quando sbagliamo l’ortografia. O come riesca il correttore del telefonino a indovinare la parola che volevamo scrivere in quel contesto. Senza dimenticare le straordinarie capacità linguistiche di uno strumento di traduzione quale DeepL, in grado di riscrivere intere frasi, indovinando il tipo di costruzione che si vuole adottare.
Solo l’elaborazione di una quantità immensa di dati, per individuare l’enorme serie di correlazioni che, riunite insieme, consentono al processore del telefonino di interpretare e organizzare in modo affidabile quelli che, in partenza, sarebbero soltanto miliardi di pixel colorati. Alla base dell’intelligenza artificiale vi sono algoritmi che possono evolvere da sé in base ai dati, rilevare modelli e regolarità, migliorando le proprie prestazioni nel tempo. Le tecniche di apprendimento automatico come il machine learning alimentano molte applicazioni di IA.
Qual è la novità rappresentata da ChatGPT, una tra una decina di piattaforme di General Purpose Technology (questo si cela dietro l’acronimo GPT, ossia l’applicazione per uso generico dell’IA)? ChatGPT assomiglia a quello che per internet sono stati i cosiddetti browser (per intenderci, Internet Explorer, Netscape/Firefox, Chrome e gli altri), ossia degli aggregatori di dati e immagini che hanno permesso a una tecnologia che si limitava a scambiare dati tra computer situati in ogni parte del globo di diventare uno strumento utile per le nostre ricerche quotidiane, utilizzabile senza conoscenze informatiche. O, per usare un’altra metafora, quello che ha significato il personal computer, in un mondo dove i computer esistevano già da anni, consentendo per esempio di sbarcare sulla Luna. Avevamo già un motore, che veniva utilizzato nella tecnologia informatica, ma adesso gli abbiamo messo le ruote e ci può portare in giro.
Le piattaforme come ChatGPT, Sage, Dragonfly, Claude+ o il recentissimo GPT4, ciascuna con specifici punti di forza, sono dei bot (da robot) di conoscenza generale. Poi ne esistono altri con specializzazioni in grafica e immagini, come Midjourney, che consente di realizzare animazioni, trasformazioni o falsificazioni irriconoscibili di immagini (per esempio le foto di Trump in manette).
L’evoluzione di questi strumenti che, come nel caso di ChatGPT, nascono da gruppi di lavoro collaborativi con standard aperti, è rapidissima, pertanto, il passaggio da una generazione all’altra può avvenire addirittura su scala semestrale, tanto per dare un’idea.
Le aree di utilizzo di questi bot, come strumenti di conoscenza e ricerca di informazione sono virtualmente illimitati. E tali da poter fornire risultati strutturati in tempi rapidissimi.
Con quale motivazione il Garante della Privacy ha preso la decisione di proibire in Italia ChatGPT, uno strumento di informazione, tra l’altro, ancora molto indietro nello sviluppo (paragonabile, nel mondo dei droni, a un drone giocattolo)?
Ufficialmente perché OpenAI, la società start up californiana che produce ChatGPT, avrebbe raccolto illegalmente dati personali dagli utenti senza disporre di un sistema di verifica dell’età per impedire ai minori di essere esposti a materiale illecito. Considerando l’ampissima e indisturbata diffusione della pornografia su internet, questa sanzione appare piuttosto sbilanciata.
Questo non significa affatto che ChatGPT sia esente da critiche. L’aspetto più preoccupante è la scarsa attendibilità dei risultati delle sue ricerche, presentati in un italiano impeccabile e in forma assolutamente professionale. Al punto da indurre l’utente a farvi istintivo affidamento. Il guaio è che spesso le fonti citate, le pubblicazioni, i nomi e le date, risultano completamente inventati. Perché, a dispetto delle apparenze, il meccanismo deve ancora essere molto perfezionato. Diverso è il caso del suo diretto successore, GPT4, più affidabile, creativo e in grado di gestire istruzioni molto più complesse.
Quali sono gli impatti di questa rivoluzione che è già partita? Inevitabilmente spariranno molti dei posti di lavoro di concetto che richiedevano esperienze specifiche di settore. Dai periti di assicurazione ai creativi nella pubblicità, a molti legali nei grandi studi, per non parlare della pubblica amministrazione tra gli impiegati di concetto, una volta che queste tecnologie si saranno diffuse.
Ma queste trasformazioni fanno parte della storia dell’umanità e qualunque persona che ha visto arrivare il personal computer negli uffici ha fatto esperienza di come sia cambiato il nostro lavoro negli anni. Tuttavia, se questi sono gli impatti negativi, è inimmaginabile quanti campi applicativi si aprano nel campo dei servizi, come in quello della manifattura, con il potenziale di innovazione e di supporto alla creatività offerto da questi strumenti.
Uno dei punti di forza dell’Italia è sempre stato quello dell’applicazione sofisticata di nuove tecnologie sviluppate altrove. Un esempio ne sono molte start-up che sono nate attorno alle applicazioni dell’Additive Manufacturing, più nota come stampa 3D, nel settore medicale. Con nuovi strumenti tecnologici le capacità mentali umane non necessariamente si inaridiscono, ma ne possono al contrario essere fertilizzate e potenziate. A condizione di non essere isolate dal progresso tecnologico e di poterlo praticare quotidianamente.
Se questo è lo scenario di fondo, veniamo dunque alla scelta di bloccare ChatGPT in nome della privacy.
La privacy viene spesso chiamata in causa quando ci si preoccupa del collegamento delle tante informazioni sulla nostra vita affidate ai computer, soprattutto quando si parla di pagare le tasse. Per il regolamento europeo della privacy, ogni volta che visitiamo un sito ci viene richiesto se accettiamo i cookie: sembrano tutte le firme che ci chiedono in banca; non abbiamo in genere la pazienza di leggere le decine di pagine che ci stampano e firmiamo. L’alternativa è che se non firmiamo non ci aprono il conto. Se non accettiamo i cookie, il sito che visitiamo non è in grado di riconoscerci e quindi non ci fa accedere al nostro spazio personale. Provate a impostare nel vostro browser la navigazione anonima: non riuscirete a entrare in alcuna area riservata.
O quando abbiamo fatto l’accesso ai servizi di Google, da YouTube a Gmail, ogni nostra ricerca è memorizzata nella nostra storia e nelle nostre preferenze. Questa cessione di privacy è la moneta con cui paghiamo la maggior parte dei servizi “gratuiti” che ci vengono offerti su internet. Se vogliamo fruire di un navigatore, non possiamo fare a meno di fargli sapere dove siamo.
Ma ci sono altri settori dove la violazione della privacy è molto più invasiva: per esempio i call-center. Nel luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Registro delle Opposizioni. Chi vi si iscrive chiede che il suo numero di cellulare non venga chiamato a scopi commerciali. Ma, di fatto, chi vi si è iscritto può constatare che non è cambiato nulla: continua a ricevere chiamate commerciali, poco importa se dall’Italia o dall’estero, comunque per conto di operatori come le società telefoniche o le utility dell’energia o altri, che operano in Italia e, o se ne fanno un baffo della privacy, o utilizzano dei call-center che chiamano dall’estero. Per di più, è consentito l’utilizzo di numeri mascherati, ossia di numeri farlocchi che non possono essere richiamati. Pertanto, si può essere bombardati da telefonate, ma non è possibile richiamare questi numeri per lamentarsene o contattare le società che ci molestano.
Ugualmente avviene per messaggi SMS o WhatsApp o e-mail cosiddetti no-reply, che non consentono di raggiungere chi li ha inviati.
Pertanto, il Garante della Privacy sembra del tutto inerme di fronte a questi abusi che ci vengono inflitti. Però si preoccupa di tutelarci contro le violazioni della privacy ad opera di ChatGPT in una lotta solitaria che sembra ignorare che i temi della tutela degli utenti potrebbero interessare anche entità sovranazionali. Che queste tematiche non riguardano solo il giardino di casa nostra. E che, soprattutto, dovrebbero essere affrontate da gruppi di lavoro costituiti da persone con competenze professionali.
Perché invece di proibire genericamente un singolo strumento, un ente come il Dipartimento per la trasformazione digitale non affida a un tavolo di lavoro aperto a tutti gli operatori del settore il compito di regolare queste materie, magari portando proposte italiane a livello europeo?
Di sicuro un ambiente di lavoro collaborativo è in grado di produrre risultati più utili, rispetto a un donchisciottesco magistrato, quasi ottantenne, proveniente da una categoria tra le più arretrate in fatto di adozione di strumenti informatici.