L’Autore, urbanista e docente universitario, è stato Ministro dei trasporti.
Il “Piano Sud 2030. Sviluppo e coesione per l’Italia” presenta alcuni innegabili pregi di cui credo sia doveroso dare conto, il primo dei quali è quello di essere un “Piano per il Sud”.
Non è una tautologia, ma la sottolineatura del fatto che di un piano non si era più vista traccia da decenni, per la precisione dai primi anni Settanta del Novecento all’epoca del “Progetto ‘80”, che riguardava l’intero territorio nazionale di cui il Sud – o Mezzogiorno, come più spesso si è detto – figurava come parte costitutiva al pari del resto d’Italia.
Fu allora che, per l’ultima volta, venne usato a buon diritto il termine “Piano”, vale a dire un elaborato che definisce contenuti, modalità, tempi e costi necessari per raggiungere determinati obiettivi.
Se quello del Ministro Provenzano sia un piano che risponde a questa accezione è questione sulla quale ora ragioniamo, ma intanto dobbiamo prendere atto che come tale è stato presentato al massimo livello di rappresentanza istituzionale e a Gioia Tauro.
E questo è certamente un grande pregio, perché dalla presenza del Presidente del Consiglio ci possiamo aspettare che sia considerato un impegno serio, non di quelli che negli anni passati sono stati fatti prendere dai vari Ministri per il Mezzogiorno che si sono succeduti, salvo poi lasciarli in una silenziosa marginalità.
Quanto a Gioia Tauro la scelta del luogo non poteva essere più emblematica.
Perché l’intera Piana di Gioia Tauro-Rosarno è un luogo di antico e solido radicamento delle cosche mafiose locali, che costituiscono ancora oggi il maggiore ostacolo alla crescita e allo sviluppo del Mezzogiorno.
Perché gli orribili episodi che si sono verificati negli anni recenti, soprattutto nella vicina zona di Rosarno, sono l’emblema della rinuncia dello Stato a marcare la sua presenza e a far valere le sue regole.
Perché il porto e l’area industriale di Gioia Tauro sono la dimostrazione paradigmatica dell’enorme potenziale che quell’area possiede e, al contempo, dell’incapacità delle Amministrazioni pubbliche a tutti i livelli di innescare, a partire da quel potenziale, processi di sviluppo efficaci e duraturi.
Dunque, Gioia Tauro era il luogo giusto in cui presentare il Piano Sud e le polemichette giornalistiche sull’immagine nella locandina di presentazione dell’evento danno la misura del quoziente intellettivo e culturale di chi le ha portate avanti.
L’altro elemento di pregio riguarda i contenuti, perché credo si possa dire che quello del Ministro Provenzano è un piano vero.
Di un piano vero possiede il profilo alto fin da quando afferma che “Un Piano per il Sud è un progetto per l’Italia”, un’affermazione perentoria che serve a mettere fuori gioco le scempiaggini – il Sud “palla al piede” – spesso ripetute da molti politici ignoranti che amministrano città e regioni importanti del Nord Italia.
Un profilo ribadito sia assumendo come riferimento strategico la “Agenda globale per lo sviluppo sostenibile (Agenda ONU 2030) con i suoi 17 obiettivi e 169 target, sia indicando come obiettivo prioritario “la creazione di nuova impresa e nuova occupazione, in particolare per i giovani e le donne meridionali”.
E di un piano vero possiede anche la prospettiva temporale, perché l’esperienza dimostra che dieci anni sono il tempo giusto rispetto al quale si possono programmare le risorse necessarie e si può credibilmente pensare di dispiegare le azioni attuative.
Infatti, le risorse per il rilancio degli investimenti pubblici vengono programmate per il decennio 2020-2030, “un tempo congruo alla buona programmazione”, pur senza perdere di vista la necessità di una “immediata mobilitazione di risorse”. Perché un piano vero guarda ad uno scenario lontano nel tempo, ma comincia ad inverarlo fin da subito, cosicché la riserva del 34% diventa il portafoglio da cui attingere in permanenza, mentre il recupero del pregresso assicura una disponibilità immediata stimata in 5,6 miliardi nel triennio 2020-2022.
Poi in questo stesso arco temporale sono programmate le azioni attuative, le cinque grandi “Missioni”, finalizzate ad inverare “Un’idea di Sud al 2030” che sia: 1. aperto ai giovani 2. connesso e inclusivo 3. per la svolta ecologica 4. frontiera dell’innovazione 5. aperto al mondo nel Mediterraneo.
Infine, un terzo elemento di pregio va riconosciuto nel discorso su “Una nuova politica territoriale”, perché la componente territorio – vale a dire l’ambiente naturale, gli insediamenti urbani, le reti infrastrutturali, il patrimonio culturale, i territori estensivi, i centri minori, le aree interne – ha nel Mezzogiorno una incidenza enorme, cosa della quale raramente si è tenuto conto in modo adeguato. L’assetto del territorio è stato per lo più considerato come la ricaduta di azioni riguardanti la struttura produttiva e il tessuto sociale, mentre nel Mezzogiorno è quasi sempre vero il contrario: la qualità e la funzionalità del territorio è la condizione necessaria per innescare i processi produttivi e riqualificare la vita sociale.
Dunque, vanno accolti positivamente gli intenti di ridurre le distanze “tra centri e periferie, aree urbane e aree interne”; di considerare il patrimonio culturale come “una radice e una prospettiva essenziale”; di avviare “il recupero e la valorizzazione dei territori a mobilità lenta”; di “rigenerare i contesti urbani”; di riqualificare “i 100 Borghi dell’Appennino meridionale”; di “incrementare e rendere più efficiente la dotazione infrastrutturale del Sud”.
Certo tutte questi intendimenti andranno verificati alla luce di quanto via via si farà effettivamente, ma anche per questo aspetto va sottolineata la presenza nell’ultima pagina del Piano di un “Riquadro. I prossimi passi”, con un programma cha va dal 31 marzo, “Approvazione del DPCM contenente le modalità di verifica dell’attuazione della c.d. clausola di salvaguardia del 34%”, fino al 30 giugno 2020, “Accordo di Partenariato per la programmazione 2021-2027”, che sarà possibile verificare passo dopo passo.
Detto degli evidenti pregi, potrei ora entrare negli interstizi dei diversi provvedimenti proposti e anche dei soggetti a cui il Piano demanda l’attuazione, aspetti entrambi su cui molto ci sarebbe da discutere. Tuttavia, considerando che questa discussione comunque avverrà, visto anche il metodo dialogante proposto dal Ministro Provenzano, mi limito a fare un’osservazione e ad avanzare una proposta che, se venisse presa in considerazione, colmerebbe una lacuna di non poco conto che a me sembra sia presente nel Piano.
Mi riferisco all’assenza di una “proiezione territoriale del piano”, e uso la stessa terminologia presente nel già richiamato “Progetto ‘80” perché in quella occasione non solo venne messo in evidenza il ruolo essenziale che la componente territoriale ha nel Mezzogiorno, ma vennero disegnati, in uno con l’intero territorio nazionale, due modelli di assetto della circoscrizione meridionale: un “Modello di assetto territoriale attuale A” e una “Proposta di modello programmatico P”, di straordinaria efficacia rappresentativa (come si può verificare consultando il n. 57 di Urbanistica del 1971) e certamente un ingrediente essenziale per la compiutezza di un Piano.
A mio parere, se quel metodo elaborativo venisse riproposto si colmerebbe una lacuna evidente e si aggiungerebbe qualità ed efficacia al “Piano per il Sud”.