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Filippo Mastriani e la vita del brigante Pilone

Una storia vesuviana da ricordare

by Federico L.I. FEDERICO
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Filippo Mastriani fu figlio di Francesco Mastriani, il letterato napoletano che – dopo essere stato allievo di due grandi uomini di cultura come Basilio Puoti e Francesco De Sanctis – divenne il più famoso narratore ottocentesco del Regno delle Due Sicilie. Mastriani padre fu romanziere, novelliere, autore di drammi e opere teatrali, attore e giornalista. Egli fu autore – tra tanto altro – del romanzo più noto del secondo Ottocento e di tutto il Novecento: La cieca di Sorrento.

Con le sue opere Francesco Mastriani connotò una grande epoca della Napoli ottocentesca, scrivendo testi teatrali e romanzi “sociali” in cui rappresentò la emarginazione dei “poveri cristi”, nella temperie del nascente socialismo utopistico.

Filippo Mastriani volle seguire le orme del famoso padre, divenendo scrittore e giornalista a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento.

Molte delle sue opere sono state attribuite erroneamente al padre Francesco, in quanto Filippo comunque spesso amava riecheggiare vicende letterarie paterne, poi riprese anche da parenti omonimi, non sempre in buona fede.

Insomma, il cognome Mastriani per il romanzo storico-sociale era un marchio DOC, come diremmo oggi.

Filippo Mastriani però visse in prima persona gli anni tumultuosi in cui Napoli perse il ruolo di capitale del Mezzogiorno dei Borbone, cedendo il passo a Roma, ove si insediò la monarchia dei Savoia.

Un’opera in particolare – una sorta di romanzo storico, ma anche un saggio storico come vedremo – Filippo Mastriani volle dedicare coraggiosamente al brigante vesuviano per eccellenza: “PILONE”, al secolo Antonio Cozzolino.

La caratteristica principale di quel romanzo fu quella di essere stato scritto sulla scorta di notizie ancora vive, a volte “scottanti”, sulla vita di “Tonino ‘o Pilone”, così chiamato familiarmente in tutto il Vesuviano.

 

 

Era vivo e pulsante ancora, infatti, tra la gente vesuviana il ricordo sulle sue imprese audaci, a volte disperate, e sulla sua guerriglia tenace, sempre irritante e beffarda per il potere savoiardo, intanto costituitosi nel Meridione con ferrea determinazione.

Era un tempo in cui si discuteva ancora accesamente sull’uccisione di quello che era stato per i filoborbonici un Eroe legittimista, ma per i “liberali” e i monarchici schierati con il re Savoia un Brigante.

Ricorrendo quest’anno il duecentesimo anniversario della morte di Pilone, si sono mobilitati due vesuviani, cittadini boschesi, entrambi giornalisti e profondi conoscitori della storia vesuviana, ma non solo, Carlo Avvisati e Angelandrea Casale. Il primo scrive di Archeologia e Arte per Il Giornale dell’Arte, Corriere del Mezzogiorno – Campania e Bell’Italia. Il secondo è Ispettore onorario del Parco Archeologico di Pompei e direttore responsabile della “Rivista di Studi Pompeiani”.

Entrambi hanno voluto affiancare, in sodalizio intellettuale, la recente edizione per i tipi dell’editore salernitano Vincenzo D’Amico dell’opera dedicata a Pilone da Filippo Mastriani con il titolo “Il Brigante Pilone”, riproposta integralmente in questa edizione assolutamente particolare, corredata da un loro saggio storico a quattro mani.

A noi, dunque, basta segnalare che l’epopea della lotta di questo brigante durò ben dieci anni, durante i quali con il suo gruppo combattente di ex soldati borbonici e simpatizzanti del re Francesco II di Borbone, Pilone tenne sotto scacco Esercito, Polizia e Carabinieri, su tutto il territorio vesuviano e oltre.

Alla fine, fu tradito e “venduto” da un suo compaesano. Un Giuda.

Pilone fu ucciso da una squadra di dodici questurini, in un agguato all’arma bianca organizzato in prossimità dell’Orto Botanico di Napoli, come Avvisati e Casale nel saggio introduttivo illustrano, nel duecentesimo della sua nascita.