È un esercizio interessante leggere – dopo le elezioni del Presidente della Repubblica – il libro di Lodovico Festa e Giulio Sapelli, “Draghi o il caos. La grande disgregazione: l’’Italia ha una via di uscita?”, Guerini, 2021.
I due autori apparentemente basano la loro riflessione in via primaria su un obiettivo di stringente attualità: l’ascesa al Colle di Mario Draghi. Sappiamo che è andata in modo molto differente, con la rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale.
In realtà poi non è così, la riflessione condotta non si limita ad un auspicio di corto raggio. Festa e Sapelli tratteggiano una analisi profonda ed acuta sullo stato della nostra democrazia e sulle sfide che ci sono davanti nei prossimi decenni. Cronaca e storia sono talvolta concatenate in una logica che le attraversa, segnando continui bivi concettuali che siamo chiamati comunque ad attraversare, sliding doors del nostro sentiero sociale ed istituzionale.
L’Italia non è riuscita a dare vita sia a sistemi morali sia ad élite virtuose che ne sostenessero la crescita, come è avvenuto nei sistemi anglosassoni e nei paesi dell’Europa continentale. Si sono inseguiti ed intrecciati darwinismo sociale e caduta delle obbligazioni sociali, in un processo che ha determinato la rottura tra intellettuali e popolo. È venuta formandosi nel nostro Paese una sinergia tra il caciquismo leaderistico, il clientelismo e la frammentazione sociale. La società italiana si è caratterizzata come un sistema con scarsa legittimità istituzionale, con comportamenti orientati al legame di patronage e alla clientela cortigiana. È prevalsa la logica della sudditanza rispetto a quella della cittadinanza. Allo Stato debole ha corrisposto una architettura di consorterie sempre più forte.
Nasce da queste basi una modernizzazione bastarda, che non è stata in grado di articolare il gioco delle idee e delle élite dentro un confronto tra partiti che si legittimano e si confrontano su base competitiva per il governo della cosa pubblica. Il crollo della morale cattolica e l’indebolimento della subcultura marxista hanno reso ancor più friabile il paradigma della base sociale e delle classi dirigenti. Lo sbocco è stato la costituzione di un neo patrimonialismo politico, nel cui ambito rarefatti gruppi privati di vertice hanno esercitato un arricchimento personale in un capitalismo maturo decadente.
Una funzione di surroga delle istituzioni elettive è stata esercitata, con Tangentopoli, dalla magistratura, con gli esiti discutibili di cui vediamo ancora oggi le tracce nefaste, determinate dalla assenza di una risposta politica. È seguita poi la stagione della tecnocrazia, spesso legata a doppio filo con il mercato finanziario internazionale, che ha accompagnato un ulteriore disfacimento della classe politica. Moriva intanto per mano delle decisioni governative l’industria pubblica e, parallelamente, anche il capitalismo delle grandi famiglie avviava la stagione del suo rapido declino.
Oggi operano nello scenario politico “quasi partiti”, organizzati da “quasi gruppi”, e neocaciquisti: fedeli stretti attorno ad un capo che raccoglie risorse e le distribuisce. La creazione di ricchezza e la generazione dello sviluppo è stata bandita dall’agenda delle classi dirigenti.
Per i nostri autori, quel che serve all’Italia è un periodo di garanzia dall’alto che protegga la nostra vita politica e che aiuti a far crescere partiti radicati sul territorio, dove tra storia, famiglia ed economia si esprime la nostra principale forza. Sinora, è mancato il coraggio di affrontare i nodi di una modernizzazione consapevole. L’atteggiamento costante è consistito nell’indugiare sul passato, senza affrontare con decisione i passaggi, anche dolorosi, che sono necessari per rendere moderno il nostro Paese. Per questa ragione resta sullo sfondo l’eterna tentazione, quella di un ritorno ad una legge elettorale con proporzionale puro. Una notte in cui tutte le vacche siano grigie e si possano rimandare indefinitamente le scelte politicamente dolorose.
A Mario Draghi viene assegnato dagli autori il ruolo di cavaliere bianco, di traghettatore della democrazia italiana verso equilibri più avanzati, per assicurare quel passaggio stretto che l’Italia è chiamata ad assolvere sul fronte interno e su quello europeo.
Ora che il nodo del Quirinale ha visto una diversa soluzione, con la conferma di Sergio Matterella per un altro settennato, tutte le questioni che Lodovico Festa e Giulio Sapelli hanno evidenziato restano sul tappeto. Non le potremo comunque evitare. E saranno affidate alla volontà popolare innanzitutto, con le elezioni che si svolgeranno nella primavera del 2023.
Intanto, Mario Draghi continuerà a svolgere da Chigi il suo ruolo di traghettatore, ed è auspicabile che possa continuare a farlo come Presidente della Commissione Europea, allo scadere del mandato di Ursula von der Leyen. A questo obiettivo dovrebbero lavorare fin da ora, e con unità di intenti, tutte le forze politiche, nell’interesse dell’Italia e dell’Europa. Da quella posizione Mario Draghi potrà, ancora con maggio forza, essere il garante di una trasformazione profonda per le prossime generazioni.