Nel biennio che abbraccia il 2017 e il 2018 si sono avute a Napoli due scoperte che hanno rilanciato con forza la Dinastia Aragonese e Napoli nel firmamento delle grandi famiglie reali e delle grandi capitali del Mondo. Soltanto un 2020 duro così come quello che stiamo vivendo ha potuto offuscarne i riverberi che già stavano scuotendo l’Europa e attirando su Napoli l’attenzione degli uomini di cultura amanti della sua grande storia bimillenaria.
E’ cosa nota intanto che la magnificente dinastia aragonese, incardinatasi a Napoli con Alfonso I il magnanimo, già Re D’Aragona e di Valencia, ha rappresentato per Napoli, allora grande capitale europea, un periodo di splendore mai prima né dopo raggiunto dal Regno di Napoli, nato con i Normanni e durato circa sette secoli e mezzo fino ai Borbone delle due Sicilie. Gli Aragonesi, con Alfonso, poi detto il Magnanimo, occuparono Napoli nel 1443 dando inizio alla loro dinastia che si chiuse oltre mezzo secolo dopo, con la morte di Re Federico I d’Aragona. Furono però sessant’anni densi di gloria che cambiarono il volto di Napoli, diventata città modello per le corti europee che vi mandavano i propri rampolli ad apprendere l’arte del vivere e del cavalcare da gentiluomini di rango.
A Napoli infatti grandi cavalieri e maestri dell’arte del cavalcare si erano costituiti in scuole operanti presso i Maneggi, strutture equestri che sorsero a Napoli, prima che nel resto del mondo, ove si esibiva il Cavallo Napolitano, animale simbolo dell’epoca aragonese.
D’altra parte, lo stesso Re Alfonso e il figlio Ferrante, che in linea dinastica gli subentrò sul trono di Napoli, erano cavalieri di incredibile capacità e audacia.
Ebbene, nel 2018, in occasione del Maggio dei Monumenti è stata resa nota la scoperta del Maneggio più antico del mondo – risalente alla seconda metà del Millequattrocento – inglobato nelle strutture settecentesche del Quartiere di cavalleria vanvitelliano, voluto da un altro grande Re di Napoli, Don Carlos di Borbone, poi Carlo III di Spagna. Quel Maneggio si è mantenuto pressoché intatto in un’ala della Caserma Bianchini, nota e cara ai Napoletani d’antan.
Quella scoperta fu il frutto di alcuni anni di ricerche di una terna di esperti: Giuseppe Maresca, Alduino Lascaris di Ventimiglia e chi scrive. Competenti di storia e architetture equestri che, a partire dall’antico Cavallo Napolitano, per finire al settecentesco Persano, hanno segnato la storia di Napoli, interpretandone l’anima.
Appena un paio d’anni prima un’altra terna di esperti di altro settore, quello storico e misterico: Salvatore Forte, Francesco Afro De Falco e Annalisa Direttore, hanno scoperto il fenomeno solare solstiziale del Libro di Luce, collegato forse alla presenza o al passaggio del Sacro Graal a Napoli. Per la precisione, nella Sala del Trono del Maschio Angioino, più nota ai Napoletani come Sala dei Baroni. Proprio là, una volta all’anno, appare il Libro di Luce disegnato su un muro dai raggi del sole nel Solstizio d’estate.
Ma, per singolare coincidenza, i protagonisti aragonesi di entrambe le vicende sono i medesimi: il Re Alfonso I d’Aragona e suo figlio Re Ferdinando I d’Aragona.
Alfonso il Magnanimo nelle sue vesti, prima ignote, di illuminato esoterico e di cavaliere del sacro Graal, forse lettore del Libro di luce. L’erede Don Ferrante nelle vesti di autore di una delle pagine più tragiche e sanguinarie della tormentata storia di Napoli, nella stessa Sala dei Baroni. Da Ferrante invitati, erano infatti accorsi presso il Maschio Angioino decine di Baroni, esponenti della nobiltà terriera del Regno di Napoli, per questioni di potere in contrasto con la corte aragonese. Ferrante li aveva accolti e rinchiusi nella Sala del trono, simulando un matrimonio familiare. Ma, invece di festeggiare, egli spietatamente li fece massacrare, decapitare, imprigionando poi e processando i superstiti.
Anche questa è storia di Napoli. Anzi, grande storia di una capitale.