Il maestro Roberto De Simone con i suoi 85 anni rappresenta al meglio quel modo operoso di vivere la vecchiaia che Cicerone aveva teorizzato nel suo dialogo Cato maior de Senectute. A tal proposito Catone, che si fa portavoce delle opinioni dell’autore, dice: le cose importanti non vengono compiute con le forze, la rapidità o l’agilità del corpo, ma col senno, l’autorità, la capacità di giudizio, di cui la vecchiaia di solito non solo non si riva, anzi si arricchisce..
Il percorso professionale del maestro De Simone è illustre e non ha bisogno di menzioni, ma proprio in quest’ultimo periodo di lavoro ha affrontato in maniera del tutto nuova un’opera alla quale è particolarmente legato: Lo cunto de li cunti di Basile, proponendo una lettura fonetica IPA (International Phonetic Alphabet) dell’opera secentesca.
Qual è la sua teoria? Basile, nel comporre il testo in napoletano, trasformò l’oralità, tipica dei racconti fiabeschi, in suoni convenzionalmente scritti per un pubblico colto che aveva bisogno di capire il significato del vocabolo riconoscendone subito il significante. In realtà, secondo De Simone, l’autore sottintendeva nella lettura la presenza di suoni che sarebbe stato impossibile rendere in forma scritta. Ciò significa che la recitazione, per rendere davvero il suono del napoletano, non può avvalersi sic et simpliciter del testo, ma deve servirsi di una traslitterazione secondo il sistema IPA, che consente di ritrovare i suoni del mondo perduto di Basile.
Ad esempio, il Maestro trascrive nel napoletano, come andrebbe letto, la favola di Petrusinella, figlia di una donna che mangia il prezzemolo dell’orto di un’orca. Rapita dall’orca, la fanciulla viene chiusa in una torre da cui lascia pendere i suoi lunghissimi capelli per far salire l’amato con cui fuggirà, grazie anche alle virtù di tre ghiande. Condotta a casa dell’innamorato, Petrusinella sarà principessa.
Ripresa dai fratelli Grimm nella versione Raperonzolo, come del resto è avvenuto per molte fiabe del Pentamerone che ebbero fortuna in Europa come la Cendrillon di Perrault, chiara derivazione da la Gatta Cenerentola, il testo napoletano circolava nelle Accademie, in particolare in quella degli Oziosi, cui il testo è dedicato, con l’intento di promuovere l’uso letterario del napoletano. Era, come dice Michele Rak, altro illustre studioso, un’opera spettacolo destinata all’intrattenimento delle corti. L’autore aveva bisogno di una lingua che, pur ispirandosi e sottintendendo l’oralità, potesse essere compresa e fruita da un pubblico più alto.
Sull’ abbandono del napoletano originale ha giocato, nel ‘900, un ruolo determinante la versione italiana di Croce che, pur dichiarando di essersi attenuto fedelmente al testo originale, censurò parole napoletane che considerava offensive per lettori come donne e bambini.
Sappiamo quanto lavoro filologico vi sia dietro l’intera produzione di De Simone, ma affascina e commuove leggere quanta passione vi sia dietro questa sua ultima fatica con cui ha ritrovato le sonorità originali della lingua di Basile.
Er’ na vot’ na fémm.na prèn’ chiammata Pascaròzia, la qual’, affacciat.s’ a na f.nèstr’ ch’ sbucav’a nu ciardin’ de n’Orca, védd, nu bellu quatr’r’p.trusin’,de lu qual’ l’ vénn tantu vulio ch’ s’ s.ntév’asc. vulir’ : tanto che nu putenn’r.sist.r’,abbistat’ quann’ scétt’ll’Orca, n’cugliètt’na vrancat’.
“C’era una volta una femmina gravida chiamata Pasqualotta la quale, affacciatasi a una finestra che dava sul giardino di un ‘Orca, vide un bel riquadro di prezzemolo, di cui fu punta da tale voglia che si sentiva venir meno: tanto che, non potendo resistere, adocchiato quando l’Orca uscì di casa, ne colse una manciata.”
Provate a leggere ad alta voce l’originale. Chi è napoletano si sa districare, ma tenete conto che De Simone ha precisato di aver evitato i fenomeni scritti di vocalismo, di consonantismo, di rafforzamento sillabico, di attenuazione, di fricazione e quant’altro, di aver sommariamente indicato le vocali mute in fine di parola, quelle acute o gravi, con un puntino le altre mute disposte all’interno d’un vocabolo, i troncamenti in fine di parola,e la “s” fricativa con l’ ^.
Per gli addetti ai lavori, quindi, la traslitterazione risulterà ancora più complessa, legata ai tecnicismi che l’IPA richiede. Dice Calvino che l’arte di Basile è un arabesco di metamorfosi multicolori che scaturiscono l’una dall’altra come nel disegno di un “tappeto soriano”. Declamarla in lingua originale, assaporarne la bellezza nella lingua di partenza sarà, dunque, ora possibile grazie ad un Grande Vecchio.
Come infatti approvo il giovane nel quale alberga qualcosa di senile, così (approvo) il vecchio nel quale vi è qualcosa di giovane; e chi mette in pratica questo, potrà anche essere vecchio nel corpo, giammai lo sarà nello spirito.(Cic.)