Ph. Augusto De Luca
Sangue e viscere della Napoli dei Quartieri. Questo è quello che si portava dentro Enzo Moscato, scomparso il 13 gennaio. I primi dieci anni vissuti in quel quartiere che non era, come ora, snaturato dalle infinite friggitorie, ristoranti, alloggi turistici, ma conservava intatta quella napoletanità, se mai essa è esistita, nella sua forma più idealtipica. Moscato lo definiva primo incanto. E se pure, con qualche intervallo, da Napoli non si è mai allontanato, rendendola protagonista del suo teatro che non è mai stato rassicurante o didattico pretendendo anzi dallo spettatore uno sforzo di partecipazione attiva. Teatro di inquietudine e non di consolazione, come amava definirlo. Ben lontano da Eduardo ma in linea con quella drammaturgia che dal dopo terremoto coinvolgerà gran parte dei giovani intellettuali come Annibale Ruccello, Antonio Neiwiller, impegnati in un progetto di rigenerazione culturale. Parliamo di Scannasurice, pubblicato qualche anno dopo il terremoto, una discesa negli Inferi della città sconvolta nelle sue strutture urbane e morali.
Nel 1986 nascerà la Compagnia Teatrale Enzo Moscato, dedicata alla ricerca ed ai rapporti con la tradizione teatrale. Nel suo teatro, fondamentale è la parola: ad una forte componente napoletana si uniscono strutture sintattiche altre, parole straniere, neologismi, nell’ottica che Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
In Rasoi, ad esempio, il cui titolo ha un doppio significato, quello di essere dei frammenti taglienti e quello di realizzare nello stesso tempo uno sfregiamento della cartolina illustrata di Napoli, troviamo «una rapsodia composta di brevi brani inediti, meditazioni e frammenti su Napoli». Un testo di denuncia che intende osservare una città in crisi, comunque amata e mai negletta, ma la cui storia viene fatta a fette a rasoiate, perché la Napoli da cartolina non esiste.
“Meglio per voi sarebbe non essere mai nati:
nella contea di N. l’inorganico avviluppo,
senza lingue della Vita, nella vita,
ormai fluisce come fango.
O tutto schiuma, tutto schiuma. Da bere.
Come birra-sorella.
E la vostra galleria di Foto,
portrait of The Black Lady,
è davvero una Splendida Vergogna:
tra sete e rasi, nastri, rare stoffe di Madera,
Ella vi offre,
inebrianti come vino,
Buchi nella Pelle, Squarci Purulenti,
una Lebbra avvelenata
come Acqua di Colonia.
Quando abbassi gli occhi dal crepuscolo,
non riconosci più
questi Canili e Porcili e Bestiari,
con il doppio ossimoro in croce sugli Ingressi:
Tacito Tumulto, Viva Morte, Assordante,
Sonorissimo Silenzio…”
Artista impegnato in più linguaggi, teatrale, narrativo, musicale, attoriale, Moscato ha attraversato il suo tempo e quello della sua città vivendone le contraddizioni, evidenziandole e ponendole sotto gli occhi degli spettatori senza cercare scorciatoie perché il teatro è un’ancora di salvezza.