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“Educazione alle relazioni”, gli sforzi pasticcioni ma apprezzabili di Valditara

by Piera De Prosperis
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Educazione alle relazioni è il titolo del progetto che il ministro Valditara sta cercando di realizzare nelle scuole alla luce della recente tragedia di Giulia Cecchettin. Garanti dei contenuti condivisi del progetto sarebbero dovute essere suor Monia Alfieri, Paola Concia e Paola Zerman. Alfieri e Zerman cattoliche doc, la Concia attivista ex deputata per il Pd e soprattutto lesbica dichiarata, ex portavoce del tavolo nazionale LGBTQ+ del Pd. Questo parterre de roi sotto l’egida di un leghista, appunto Valditara. Cosa può aver spinto il ministro a dare vita ad una combinazione così esplosiva? Il desiderio di sentire voci diverse che avrebbero dovuto dettare insieme le linee guida del costruendo progetto? Il bisogno di apparire aperto ad istanze sociali, politiche e culturali per ottenere il consenso non solo delle forze politiche ma soprattutto dei destinatari, cioè quel mondo della scuola così variegato nelle sue componenti?

Polemiche a non finire sulla rosa dei nomi individuati e Valditara ha pensato bene di fare marcia indietro: la nascente commissione non ha visto la luce. L’intento forse poteva anche essere buono, voci diverse a confronto. Perché l’affettività ha tanti modi di esprimersi e, se lo scopo dichiarato è quello di recuperare un sano equilibrio di genere, la voce di personalità così lontane può far capire che l’amore è sempre lo stesso in qualunque variante venga declinato. Concia ha spiegato che il progetto prevedeva la formazione di docenti referenti per costruire gruppi di dibattito nelle classi, sotto la guida dei docenti, senza lezioni frontali. E ora? Che succederà di queste idee? Il ministro ha spiegato che si andrà avanti, lavorando con le associazioni rappresentative dei genitori, dei docenti e degli studenti, senza commissione guida. Gruppi di discussione, fuori dal curriculum scolastico, per combattere mentalità discriminatorie incoraggiando i giovani ad una riflessione consapevole.

Quando leggo questi buoni propositi, l’ennesimo progetto in cui investire fondi, magari molto più utili per l’edilizia scolastica più che mai carente al Sud, mi vengono i brividi. Anzi per meglio dire un sottile disgusto. Rieccoci, un altro progetto, altre chiacchiere inutili calate dall’alto.

Non ci sarebbe bisogno di esperti se solo le istanze e le esperienze dei docenti venissero ascoltate. Cosa proporrebbe un bravo docente in una situazione così delicata? Come educare alla parità di genere sempre e non solo sotto l’impeto della tragedia di poche settimane fa? Parlerebbe di attenzione al linguaggio. Di necessità di dare alle cose, ai sentimenti il loro vero nome. Senza ulteriori progetti che si andrebbero solo ad aggiungere a quanto già esiste. Parlerebbe di lavoro sui testi, di discussioni guidate e partecipate su ciò che si studia quotidianamente nel curriculare. Mi si potrebbe obiettare che già si fa, che già i docenti operano così, almeno la maggior parte. E forse non basta. Forse il vero obiettivo, in questo momento storico, è ricucire il rapporto con la famiglia. Ricomporre quel legame virtuoso che per decenni ha dato credibilità ed appoggio ai lavoratori della scuola. Forse bisognerebbe educare alle relazioni proprio i parenti dei ragazzi, che spesso non sanno come il loro figlio si trasformi improvvisamente in un mostro.

Apprezziamo comunque gli sforzi pasticcioni del ministro. Quando si tratta di scuola tutti pensano di poterci mettere le mani senza sbagliare. Come quando si vede una partita di calcio e ci sentiamo tutti allenatori. Solo che qui non è un gioco, bisogna stare sempre più attenti, il presente non ci consente di andare a cuor leggero. Comprendere le dinamiche che intercorrono tra me e te, dare loro un nome, disinnescare le tensioni, arrivare a capire che ci sono io e ci sei tu nel rispetto reciproco. Non è facile. E’ più facile fare polemiche, fare coup de theatre che non fanno bene alla scuola.