A Parigi, in una casa sfarzosa ed opulenta, tra fiori e candele, si svolge una festa animata da balli e fiumi di champagne. Uomini facoltosi di ogni età, donne eleganti pronte a concedersi, facilità di approccio e capricci soddisfatti, lusso sfrenato, è questa la cornice dove si svolge una vita lontana da preoccupazioni ed affanni che sembra non dover mai finire, una notte eternamente giovane.
Tra tutti primeggia per fascino e bellezza Violetta Valery, giovane dall’oscuro passato e dall’equivoco presente: non ama gli uomini ma le camelie, fiori che le assomigliano per la particolare grazia eterea e sensuale. In una di queste serate le viene presentato l’uomo del destino, Alfredo Germont, ardente, appassionato, sensibile. E’ un nobile di buona famiglia ma contro ogni convenzione sociale si innamora di lei e la vuole accanto per la vita. Violetta resiste, non intende abbandonarsi all’amore, presagisce che questo sentimento potrebbe essere “una sventura” per lei povera donna sola, abbandonata nel “popoloso deserto che appellano Parigi”, non spera più nulla se non trascorrere il tempo in un vortice di piacere, eppure alla fine cede.
E’ stanca e debole, spaventata, riconosce le aride follie del suo vivere, l’amore di Alfredo è ciò che la sua anima nei momenti di solitudine e tormento immaginava e desiderava: perché allora respingerlo, perché rinunciare? L’amore è croce ma anche delizia per il suo cuore inaridito. La sua è una delle tante vite che si consumava nella disperazione ma Alfredo la salverà. Comincia così tra loro una storia intensa, appagante, speranza di una vita diversa, migliore, che porterà i due giovani lontano da Parigi: abbandoneranno feste ed amici per vivere in semplicità in campagna dimenticando il passato.
Il passato, però, ritorna e le convenzioni sociali avranno la meglio sul loro sentimento ed il dramma si consuma. Violetta cedendo alla richiesta del padre di Alfredo di abbandonare il figlio, lascerà la casa e ritornerà sola a Parigi. Sa bene che le resta poco da vivere ma, devota al suo giovane amante, obbedisce e va incontro alla fine, vittima ancora una volta, travolta da quegli errori che la società non perdona.
Il finale della storia è ben noto: Violetta sola e povera, consumata dalla tisi morirà tra le braccia di Alfredo che finalmente apprenderà dal padre le motivazioni della sofferta decisione di allontanarsi da lui.
Quando quest’opera fu rappresentata per la prima volta al teatro La Fenice a Venezia, l’accoglienza fu fredda, qualcuno gridò allo scandalo poiché il ruolo della protagonista in fondo era personificato da una prostituta.
Oggi, invece, questa vicenda commuove ancora.
Venerdì sera, 9 aprile, quando la RAI ha trasmesso in prima serata la bella versione del film-opera del regista napoletano Mario Martone e del direttore musicale del Teatro dell’Opera di Roma Daniele Gatti, milioni di italiani l’hanno seguita con grande interesse da casa.
L’opera lirica ha toccato ancora una volta le corde più sensibili ed umane dei cuori degli ascoltatori televisivi e soprattutto ha spinto i più ad una riflessione profonda: Violetta è sì una donna “perduta” per la società, ma è generosa, sensibile, altruista. Rinuncia all’amore di Alfredo poiché il padre di questi la prega di rompere il rapporto d’amore con il figlio per non compromettere l’onore della famiglia nell’imminenza del matrimonio della figlia.
Violetta si immola per la “vergine sì bella e pura” consapevole che lei è altra cosa, è colpevole per la società, ha percorso una strada sbagliata e deve pagarne le conseguenze.
La crudeltà del perbenismo dell’epoca, le ipocrisie, il conformismo altolocato, vogliono una vittima e l’avranno; Violetta pagherà per errori del passato e neanche l’amore la salverà. Il personaggio della Signora delle Camelie, creato da Alexandre Dumas figlio, è una metafora dell’esistenza umana: la protagonista lungo il cammino della sua vita, tra alti e bassi, si stringe alla forza salvifica dell’amore ma è destinata a soccombere di nuovo per finire tragicamente la sua vita travolta dalla sofferenza e dalla tisi.
Per questa donna considerata dissoluta e “Traviata” non c’è scampo contro un fato avverso, dovrà piegarsi al dolore e rivolgersi a Dio come unica speranza di salvezza perché possa accoglierla nelle sue braccia e misericordiosamente consolarla.
La struggente preghiera finale, l’addio alla vita, il ritorno di Alfredo, il perdono che gli concede, il rimorso del padre, in un susseguirsi incessante di eventi, creano la catarsi finale della rappresentazione, la pietas per un destino tanto travagliato.
Grandissima l’opera di Verdi per le musiche, le arie, i bellissimi cori, ma un lodevole riconoscimento va anche a Mario Martone ed i suoi collaboratori che con la sua regia, le scene, i costumi, ha dato agli italiani l’occasione di immergersi in un’atmosfera di bellezza e creatività.
In questo anno particolarmente drammatico per il perseverare del Covid – 19, con i teatri chiusi in tutta Italia e nel Mondo, è stato importante per il grande pubblico, appassionato delle opere liriche, assistere ad uno spettacolo nello spirito della nuova e sperimentale forma dei film-opera di grande cultura umanistica e musicale.
Apprezzare la bellezza nelle sue diverse forme aiuta a sviluppare la crescita personale e diventa un’arma contro la rassegnazione, la paura e la vita segnata dal lock-down.
E’ per questo che la televisione pubblica, sostenuta con i tributi dei cittadini, ma anche i canali commerciali e ogni forma di comunicazione dei media devono educare alla bellezza: in ogni uomo e donna di tutte le età far nascere e vivere la curiosità e lo stupore di amare la vita.