“La peste era arrivata con le truppe dei Lanzichenecchi. Qualche cadavere trovato in tutto il territorio percorso dall’esercito è la prima avvisaglia del morbo, nel bergamasco in quel di Lecco è scoppiato il contagio…”. Termine quasi apocalittico, che sembrava scomparso dalla nostra lingua di uso corrente ma che ricorre, purtroppo spesso, in questi giorni, in cui sembra di vivere in una dimensione surreale, da film dell’horror, di fantascienza.
Sono giorni di paura per alcuni, che conoscono bene la pericolosità del virus (dal Latino veleno) ma, ahimè, ancora di “incoscienza” per molti altri, soprattutto per i nostri giovani, i quali sembra non aver ancora capito di cambiare le loro abitudini di vita, che si svolge certamente nello studio e nel lavoro ma anche in aperitivi o colazioni al bar con gli amici.
“In questo e in quel paese – continua il Manzoni – cominciarono ad ammalarsi, a morire persone…” Questo è lo scenario della peste del 1648 e sembra molto simile a quello che stiamo vivendo oggi, purtroppo.
Queste descrizioni della Peste sono quelle che noi abbiamo imparato a leggere in Omero, quando infuria nel campo acheo, per colpa di Apollo che si vendica per il rapimento di Criseide, figlia del suo sacerdote, Crise, da parte dell’eroe greco Agamennone; leggiamo nelle Storie di Tucidide, quando ci descrive la pestilenza scoppiata ad Atene nel 430-429,durante la quale morì il primo grande “statista” della nascente democrazia occidentale: Pericle; la stessa peste di Atene che è stata descritta nei versi del De Rerum Natura del nostro poeta-filosofo Lucrezio, vissuto nel I secolo a.C. Come dimenticare la Cornice del Decameron di Boccaccio che dice che durante la terribile peste di Firenze del 1348, sette giovani donne e tre giovani si ritirarono in una villa sulla collina di Fiesole, lontano dal luogo dove infuriava il morbo. Tra tutte queste vicende, sviluppatesi in periodi diversi della nostra Storia, sembra che ci sia un filo conduttore che le leghi: una sorta di “punizione” della divinità per alcuni, della divina Provvidenza per altri… è una sorta di “calmiere” che viene a ristabilire il κόσμος, l’ordine, spezzato dalla ύβρις, la tracotanza, il “peccato” di superbia e di prevaricazione da parte dell’uomo, come ci insegna la nostra cultura classica, sentimento di cui è impregnato il teatro greco. Si scatena la φθόνος θεών (l’invidia degli dei), come pensavano i Greci, che intervenivano per far capire all’uomo di essere una “pedina”, nelle mani di una forza soprannaturale, di gran lunga superiore: la μοίρα, cioè la Sorte.
L’uomo attraverso la sofferenza impara e, quindi, corregge i suoi errori, cioè la sua superbia. Tutto questo sembra che si verifichi non a caso. Con questo nemico invisibile, il coronavirus, dobbiamo fare i conti oggi. Più è latente e più è da temere, quindi noi tutti dobbiamo fare da barriera contro il suo contagio, rispettando le regole del DPCM. E’ in questi momenti in cui si capisce quanto la vita umana sia labile, quanto l’uomo sia “impotente” senza il soccorso della Scienza e della Competenza dell’apparato sanitario, senza l’aiuto del “vaccino”. Dobbiamo modificare il nostro stile di vita: un popolo, quello Italiano, abituato a svolgere la propria vita sociale nell’agorà, deve evitare i contatti ravvicinati, gli abbracci, la stretta di mano, la passeggiata tra la folla. Dobbiamo essere animati da quello spirito civico che ci ha sempre contraddistinti nei momenti più difficili della nostra Storia e fare una barriera compatta contro un unico nemico: il coronavirus.
Evitiamo di uscire, rispettiamo le regole, quindi, noi stessi, evitiamo che scoppi il nostro sistema sanitario che i paesi più avanzati ci invidiano, in cui tutti possiamo essere curati, gratuitamente, allo stesso modo sia ricchi che poveri, sia vecchi che giovani che bambini.
Viviamo questi giorni difficili con fiducia, speranza, responsabilità, orgoglio.
Lo stesso orgoglio che aleggia in queste ore sulle note dell’Inno di Mameli e che unisce in un solo cuore milioni di persone distanti.