Una decina di giorni fa le Marche sono state colpite da bombe d’acqua di inaudita intensità, fiumi di fango, esondazioni, frane e smottamenti. E l’ormai solito, tragico corollario di vittime, sfollati, case distrutte, infrastrutture collassate.
Qui siamo davanti a un V-shaped, un temporale autorigenerante la cui intensità è stata eccezionale, con impatti davvero difficili da prevedere. Chiaramente, la crisi climatica amplifica tutto questo. Ha commentato Giulio Betti, meteorologo del Cnr Lamma che ha seguito da vicino i fenomeni meteo intensi del Centro Italia, rimasto allibito di fronte alla potenza del cataclisma che si è scatenato nella notte maledetta del 16 settembre.
Allerta meteo sottostimata, eccezionalità dell’evento, fatalità, colpe, sciatteria programmatica o, semplicemente, la natura che fa il suo corso. Come d’obbligo c’è un’inchiesta in corso e, se ci sono responsabilità, saranno appurate con rigore e imparzialità.
Dopo ogni evento calamitoso di una certa rilevanza, gli italiani sembrano svegliarsi dal letargo che li ha tenuti in un incosciente torpore dalla penultima tragedia. Ci destiamo stupiti ed ignari di vivere in un paese estremamente fragile dal punto di vista della sicurezza idrogeologica. Un territorio naturalmente instabile, devastato dalla pressione antropica e dall’incuria, dove gli effetti del cambiamento climatico in atto (sulla cui genesi non tutta la comunità scientifica è d’accordo ma sulla cui cogenza nessuno osa più fiatare) sono particolarmente perniciosi proprio per le caratteristiche geologiche dello stivale.
La stessa magistratura inquirente, ormai sempre più organo di governo nelle politiche ambientali (dato il vuoto ormai decennale lasciato da alcune frange della classe politica che, di fatto, si trasforma in inerzia programmatica e amministrativa), si muove esclusivamente alla ricerca di un colpevole da inchiodare.
Quando succedono tragedie del genere, lasciatecelo gridare a voce alta, siamo tutti colpevoli: è il sistema paese che non ha funzionato! Quel sistema paese (cittadini e governanti sia ben inteso) che ha consentito di costruire città intere nelle aree di naturale esondazione dei fiumi (tanto che vuoi che succeda), che ha antropizzato come nulla fosse versanti in frana. Quel sistema paese che negli anni dello sviluppo economico ha ipotecato di fatto tutto il territorio nazionale, accecato da una ottusa fiducia nell’acciaio e nel cemento, ritenuti capaci di tenere testa alle forze della natura.
Non era così e adesso è giunto il momento di rimboccarsi le maniche e di dirsi le cose come stanno. Dirsi cioè che ad alcune manifestazioni terribili della natura non c’è (perlomeno all’attualità) tecnologia umana che possa porre rimedio e con alcune catastrofi dobbiamo imparare a convivere.
Ci è piaciuta molto un’altra dichiarazione del meteorologo Giuli Betti: La crisi climatica, è un’emergenza che non possiamo più trattare solo con azioni emergenziali, ma è necessario attrezzarsi in anticipo con politiche di adattamento. Adattamento dovrebbe essere il nuovo mantra per le politiche ambientali insieme all’ormai inflazionata resilienza (di cui continua a sfuggirci ogni tanto il significato). L’uomo che si adatta all’ambiente (naturale ed artificiale) accettandone intimamente le logiche, senza tentare di piegarlo alle proprie esigenze. Senza peccare di Hybris come dicevano gli antichi greci.
La politica ambientale, che non può tradursi semplicisticamente solo nel fare l’area protetta per le tartarughe o il giardinetto sotto casa, ovvero nel vietare la TAV, la TAP e quant’antro, deve sforzarsi di superare la obsoleta antinomia uomo/natura che tanto sembra piacere ai politici italiani. Da un lato chi vede l’uomo come un intruso nella natura, dall’altro chi vede la natura solo come un ostacolo allo sviluppo economico.
Anche Italia Nostra, la storica associazione ambientalista da annoverare di diritto sul fronte del partito del no a prescindere, sembra ripensarci, seppur tra le righe. È del 19 settembre un comunicato stampa dove si ammette che abolire la “Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche”, detta anche #italiasicura, varata dal governo Renzi e smantellata dal governo Conte, è stato forse sbagliato, senza aver previsto una cabina di regia alternativa.
Ne prendiamo atto e lanciamo una provocazione: e se provassimo a spendere i fondi del PNRR, perlomeno in una prima fase, per manutenere le opere di difesa suolo esistenti? Così almeno non prestiamo il fianco al solito giochetto dei veti incrociati o, ancora peggio, dei permessi e delle autorizzazioni negate.