La storia di Alberto e della sua famiglia che imparò a volare con lui. Autilia Avagliano, Marlin editore, settembre 2020.
Cari lettori, mettetevi comodi perché il libro di cui vi parlo oggi è una storia tosta, quella vera e bella, per chi avrà la voglia di ascoltare, di Autilia, l’autrice, e di Paolo, Mario e Alberto, rispettivamente marito e figli o, per meglio dire, suoi rispettivi Principe e Cavalieri.
È così che infatti la scrittrice appella i tre uomini della sua vita ed in effetti è proprio così che il lettore li inizierà ad immaginare nella sua mente, scorrendo le pagine. Sì, perché questa storia è la storia di una famiglia come tante e ciononostante, proprio come le storie di cui narrano le fiabe, è una storia modello e di grande insegnamento e riflessione.
Quanto può la nascita inaspettata di un figlio con la sindrome di Down stravolgere la vita di una persona, di una coppia e di una famiglia?
Evidentemente, in maniera totale.
“Non sapevo che si può morire e nascere ancora”, scrive infatti Autilia.
Ed è una notte lunga e buia quella che segue il parto. Sono tangibili, per il lettore, l’incertezza rispetto al sospetto della sindrome, lo sconforto, l’impreparazione generale, non solo, ovviamente, dei due genitori, ma ancor più quella dei medici, totalmente incapaci nel comunicare. Quando invece le parole, specialmente in alcune circostanze, non sono solo forma ma sono sostanza e dunque andrebbero scelte con cura e consapevolezza.
Quella notte cupa avrebbe potuto non finire mai se la famiglia di Autilia, scossa da quel terremoto, si fosse lacerata, lasciata abbattere dall’apparente destino avverso, crogiolandosi nell’amarezza e nella rabbia per una mala sorte. Forse sarebbe stato più facile così, arrendersi senza combattere.
Al contrario, invece, piano piano, l’oscurità inizia ad essere meno totale, il sole con la sua luce e il suo calore comincia a farsi largo annunciando un nuovo giorno. Una rinascita semplice fatta di nuova routine, nuova quotidianità, e con essa di nuova speranza e fiducia, di uno sguardo nuovo sul mondo.
Tra alti e bassi, traguardi raggiunti e sonore sconfitte, il libro prosegue narrando in ordine cronologico i temi che l’intera famiglia si trova ad affrontare e con i quali si scontra durante il corso dei quasi vent’anni di esperienza narrata. Dal momento della comunicazione rude e poco delicata della diagnosi, al calvario delle analisi mediche, passando per l’inizio dell’età scolare, il momento dell’inclusione scolastica e della offerta di una formazione degna di questo nome, dell’integrazione sociale di un adolescente che, come tutti, ha voglia di uscire.
A fare da sfondo a tutto ciò, una famiglia unita ma prima di essa una coppia, esempio di dialogo, di solidarietà, di fiducia reciproca, di rispetto delle diverse opinioni e individualità. Il ritratto che viene fuori è quello di una coppia, quella di Autilia e Paolo, poco cattolica ma sicuramente credente, che ha messo in atto quello che in teoria è il matrimonio, che al di là di tante chiacchiere ha saputo fare i fatti e resistere nella buona e nella cattiva sorte. Attenzione però: quando parlo di cattiva sorte non mi riferisco alla nascita di un figlio con la sindrome di Down, cattiva sorte è quella che ti tocca quando ogni giorno sei costretto a scontrarti con una burocrazia insensata (emblematico quel “e se guarisce” della Commissione Asl), con l’ipocrisia di parenti, amici, colleghi e vicini di casa, con il pregiudizio dilagante non solo dove magari te lo aspetti pure ma anche dove proprio non te lo immagini, quando ti senti addosso gli occhi di chi ti vede diverso quando invece sei come tutti gli altri.
Ecco perché in fondo: chi è diverso e chi è uguale? Cosa significa tutto ciò? Non siamo forse tutti diversi l’uno dall’altro e non siamo forse allo stesso modo tutti uguali? Non è forse, per Mario, Alberto semplicemente suo fratello e così per Alberto, Mario?
C’è un aggettivo che Autilia usa per descrivere suo figlio Alberto: “semplice”. Ci ho riflettuto. Ma quanto è più bello essere semplici, immediati nelle emozioni? Ci sembra strano, diverso appunto, ma perché? In effetti, solo perché siamo abituati a non essere semplici, ad avere sovrastrutture del pensiero che neanche ce la fanno percepire la semplicità.
È brava Autilia Avagliano ed è meravigliosa la sua storia e quella della sua famiglia perché c’è vita vera dentro, c’è amore, c’è guerra e pace, c’è umanità.
Concludo con un augurio per voi, quello di leggere questo libro, e di leggerlo soprattutto se non avete coscienza della disabilità o se avete in programma di fare un figlio perché, nel caso in cui foste posti di fronte al dubbio di una diagnosi prenatale, possiate fare una scelta consapevole, qualunque essa sia.