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Dall’8 Settembre alle Quattro Giornate di Napoli

by Federico L.I. FEDERICO
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L’Otto Settembre del 1943 è passato senza particolari celebrazioni, ovviamente, perché è un giorno imbarazzante per la storia dell’Italia moderna. Tra le reti televisive nazionali, soltanto La 7, rete non pregiudizialmente schierata anche se popolata soprattutto da giornalisti e conduttori di area definibile di sinistra, secondo parametri ormai desueti, ha trasmesso un film rievocativo. Il Film risale però al 1961: IL FEDERALE.

Esso fu diretto da Luciano Salce, attore e regista comico dissacrante e cinico, che ritaglia per se stesso nel film un “cammeo”, in cui interpreta il ruolo di un Ufficiale tedesco, fanatico quanto basta per una interpretazione credibile. Attori protagonisti furono un grande Ugo Tognazzi, il quale dimostra di sapere essere straordinariamente grottesco nella veste di graduato delle brigate nere, fascista irredimibile e ottuso. E infatti Ugo Tognazzi – nel suo ruolo di “carceriere” che vuole essere duro ma che è incapace di crudeltà – rimane perennemente affiancato, anzi appiccicato, al coprotagonista George Wilson, attore e regista francese, nel ruolo di un intellettuale antifascista bonario e sornione, sempre pronto a darsi alla fuga da Tognazzi, che lo chiama professore con deferenza, ma lo bracca con ostinazione maniacale.

Per l’aspirante Federale fascista quella è una preda ghiotta da portare prigioniera a Roma e da esibire per essere promosso da graduato a “Federale” delle Brigate nere fasciste. Il Federale era infatti una sorta di Ufficiale superiore di quelle Brigate nere, le quali pagarono la caduta del fascismo con processi popolari che spesso culminavano in fucilazioni, dopo l’8 Settembre 1943. Era un’Italia che vedeva crollare tutti i miti fascisti di nazione potente nello scacchiere mondiale, mostrando di essere un paese arretrato e sostanzialmente ancora rurale di gente abituata da secoli a sopravvivere ai capovolgimenti della storia.

Alla fine di quella solitaria e privata marcia su Roma – tempestata di inconvenienti e problemi affrontati insieme da due persone fondamentalmente “oneste”, nel senso pieno e originario del termine – i due arrivano a Roma l’8 Settembre del 1943. L’esito della marcia è drammatico in una Roma attraversata da veloci jeep delle truppe alleate – che hanno ormai conquistato la Città eterna – oltre che da camion e camionette italiane stracolme per il trasporto di sbandati.

E qui c’è il finale a sorpresa, anzi sorprendente, considerato che l’anno 1961 era appena il sedicesimo dalla fine della Seconda guerra mondiale, in cui ancora si sentivano gli echi delle rivendicazioni ideologiche. Il finale del film è coraggioso e in qualche modo revisionista “ante litteram”. Eccolo: il fascista Tognazzi, finalmente vestito da Federale – dopo avere acquistato una divisa d’occasione da un “pezzaro”, anzi una “pezzara”, interpretata da una deliziosa e acerba Stefania Sandrelli – appena però arriva a Roma viene individuato come fascista, viene quindi inseguito e malmenato.

Dopo il pestaggio sono pronti a fucilarlo, ma il falso Federale viene salvato in extremis da una staffetta in camionetta di Partigiani “regolari”, che riconoscono il Professore, il quale si fa consegnare subito, come suo personale prigioniero il falso Federale. Quindi, appena svoltato l’angolo, il Professore antifascista lo libera dopo avergli strappato da dosso la divisa fascista, divenuta pericolosa per chi la indossava. Infine il Professore, vedendolo così malconcio e cercando di consolarlo, dice al Federale: Non hanno malmenato te, ma la uniforme.” E il fascista, sanguinante e tumefatto, ma ancora una volta ottuso, gli risponde: Sì professore, ma nella divisa c’ero io…” E così vanno ciascuno per la propria strada in una Italia drammaticamente cambiata.

Ovviamente, quel finale così liberal non piacque alla critica di sinistra, almeno di quella che intanto cominciava a esercitare la propria egemonia culturale, senza però rendersi conto che l’8 Settembre del 1943 era stato il giorno della Morte della patria, come ben ha sintetizzato successivamente, nel 1998, Ernesto Galli della Loggia nell’omonimo libro. Fu il giorno più nero della Storia moderna del Belpaese, il giorno in cui i fascisti, gli antifascisti, i monarchici e gli antimonarchici rimasero soli. E i soldati di ogni ordine e grado si sentirono sbandati, senza un Capo supremo.

Fu il giorno in cui Vittorio Emanuele III, “Re sciaboletta”, nipote diretto di quel Vittorio Emanuele II passato alla Storia – immeritatamente, sotto l’accorta politica inglese in suo sostegno – come il “Re galantuomo” e l’unificatore dell’Italia risorgimentale, si rese autore di una fuga ignominiosa da Roma verso Brindisi che portò la stessa Dinastia dei Savoia a una fine ingloriosa.

Ma meritata fino in fondo. Con esiti ideologici però fatali e duraturi per il Popolo italiano. Echi che non si sono ancora del tutto spenti e che riecheggiamo periodicamente.

La Monarchia savoiarda, per una sorta di fatale Legge del Contrappasso, fu cacciata con un Referendum i cui esiti a favore della Repubblica furono incerti fino alla fine dello scrutinio, sul filo di lana. I Monarchici filo-Savoia gridarono al broglio. D’altra parte, sapevano bene che totalmente falsi erano stati i Plebisciti con cui i Savoia portarono a termine l’annessione al nascente Regno d’Italia di intere regioni e territori, oltre il Meridione conquistato brutalmente con le armi e la violenza. In quei Plebisciti, infatti, le popolazioni furono portate al voto sulla punta delle baionette in gran parte dei casi, prima della consegna di schede aperte, quando non già contrassegnate in favore della annessione al Regno di Italia, sotto la Corona Savoia.

Questa è la verità storica, come ormai ha acclarato un sano revisionismo delle “leggende” risorgimentali, con cui erano stati rivestiti eventi, fatti ed episodi caratterizzati invece da brutalità, prepotenza e anche ferocia contro i popoli del SUD, in particolare quelli rimasti inclini alla lealtà verso il Re Francesco II di Borbone, chiamato paternamente dai napoletani “Franceschiello”, prima che il nomignolo, affettuoso in lingua napoletana, fosse poi usato per spargere l’ignominia sull’intera famiglia Reale Borbonica di Napoli.

Ma toccò proprio a Napoli – appena una ventina di giorni dopo il fatidico 8 Settembre – di ridare dignità alla Patria morente, ribellandosi alla furia tedesca come prima città in Europa, con la occulta organizzazione di Soldati e Ufficiali sbandati o reduci dalla Campagna di Russia, dando vita alle “Quattro giornate di Napoli”, che presto potremo ricordare e celebrare.