Di notevole impatto la riforma portuale proposta qualche giorno fa a Palermo in occasione del convegno “Noi, il Mediterraneo”. Le Autorità portuali dovrebbero diventare “esecutori di indicazioni precise di priorità negli investimenti e nel marketing internazionale che diventeranno compito primario dell’Azienda centrale dei porti”. Una sorta di Enav della portualità. “Una società per azioni, a controllo pubblico, ma in grado di attrarre investitori privati su un piano industriale, ma anche di sfruttare le occasioni di investimento e consulenza nel mondo”. A lanciare l’idea Pasqualino Monti, Presidente dell’AdSP di Palermo, alla presenza del Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Edoardo Rixi. L’obiettivo sarebbe quello di evitare le “carenze della burocrazia”.
“L’industria italiana dell’acciaio (…) ha bisogno di un terminal dedicato, preferibilmente nel nord est italiano. E questa ambizione inevitabilmente cozza con la tendenza in atto verso un oligopolio nella gestione dei terminal portuali italiani”. Così il Presidente di Federacciai Antonio Gozzi, sempre a Palermo.
Dal canto suo, il Presidente di RFI Dario Lo Bosco si è detto convinto della “realizzabilità nei prossimi anni dei 180 miliardi di infrastrutture ferroviarie gestite per la prima volta da un unico Polo Infrastrutture all’interno del ministero competente”. Il che rappresenterebbe la novità gestionale in grado di assicurare il salto di qualità.
Paolo Costa, docente di Ca’ Foscari ed ex Ministro dei Trasporti nonché Presidente della Commissione Trasporti della UE, ha auspicato “una gestione integrata dei porti (…) che devono garantire un’offerta congiunta e omogenea in grado di favorire la sosta in Mediterraneo delle grandi navi porta container”.
Insomma, più Stato centrale. Forse è giusto, ma come la mettiamo con l’Autonomia differenziata?