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Abbiamo già detto che la Guerra di Crimea fu la prima guerra ‘ibrida’ del mondo contemporaneo e del ruolo che vi svolse il giornalismo. Fu anche la prima guerra ‘totale’, di cui restarono vittime soldati e civili, postazioni militari ed edifici civili e fu a suo modo una guerra ‘tecnologica’, vinta da chi meglio aveva applicato le risultanze della scienza alla produzione degli armamenti.
Fu anche una guerra ideologica, uno scontro di civiltà: si affrontarono ferocemente eserciti che si batterono non solo per gli interessi nazionali della loro patria, ma per l’autocrazia o per la libertà.
Lord Palmerston fu esemplare per chiarire le ragioni dell’interventismo del Regno Unito: “Ritengo che la vera politica dell’Inghilterra – a parte questioni che coinvolgano i suoi interessi particolari, politici o commerciali – debba essere quella di farsi paladina della giustizia e del diritto. Con moderazione, senza diventare il Don Chisciotte del mondo, ma facendo avvertire il peso del suo sostegno ovunque venga compiuto del male”.
Quella guerra ideologica modificò radicalmente l’assetto geo-politico dell’Europa, archiviando i deliberati di Vienna ed aprendo la strada che portò nel 1918, a conclusione della Prima Guerra Mondiale, al simultaneo crollo dei tre grandi imperi europei, l’ottomano, l’austro-ungarico e il russo. Dal 1919 ad oggi in Europa non ci sono stati più imperi, solo stati nazionali, regni o repubbliche che siano.
Uno degli Stati nazionali formatisi dopo la Pace di Parigi del 1856 fu la nostra Italia. Sappiamo dai libri di scuola del ruolo svolto a Parigi dal Conte di Cavour, di come il Regno di Sardegna aderì immediatamente all’alleanza antirussa, forte di intese segrete con la Francia che, a dispetto delle rassicurazioni sulla penisola italiana fornite all’imperatore Francesco Giuseppe di Austria, si era impegnata a fiancheggiare il Regno di Sardegna nel futuro scontro per la liberazione e l’indipendenza dell’Italia. Vittorio Emanuele II aveva così inviato in Crimea un corpo di spedizione di 18mila uomini che parteciparono con valore alla battaglia della Cernaia e all’assedio di Sebastopoli.
Al Congresso di Parigi, forte del peso morale della partecipazione del Piemonte alla spedizione di Crimea, Cavour riuscì a far mettere a verbale la “questione italiana”. In particolare, le potenze europee sottoscrissero la necessità di affrontare la questione del malgoverno del Regno delle Due Sicilie.
Si è detto degli accordi segreti informali franco-piemontesi. Essi furono puntualizzati e formalizzati, sempre in via riservata, nel ‘58 a Plombières. Prevedevano che, qualora il Regno di Sardegna fosse stato aggredito dall’Austria, la Francia sarebbe intervenuta in sua difesa.
Si sanno gli sviluppi, in combinazione con i patrioti del Lombardo-Veneto, il Piemonte cominciò a provocare sistematicamente gli Austro-Ungarici fino a che Francesco Giuseppe, nell’aprile del ‘59, non gli inviò un ultimatum. Era l’occasione che Cavour aspettava, ora il Regno di Sardegna era l’aggredito e la Francia era tenuta ad entrare in guerra con l’Austria in sua difesa.
Fu la Seconda Guerra d’Indipendenza, al termine della quale cessò la sua esistenza anche il secolare ed a suo modo glorioso Regno di Napoli, a quel tempo Delle Due Sicilie.
Non era scritto nelle stelle quell’esito. Nessun accordo tra le potenze europee aveva contemplato un qualche impegno a cancellare dalle mappe geopolitiche il Regno delle Due Sicilie.
Nel ‘54 al Re Ferdinando II era stato chiesto di unirsi all’alleanza anti-russa e di inviare un corpo di spedizione di 40mila uomini in Crimea, ma il re Borbone si era categoricamente rifiutato. Era puntigliosamente determinato alla neutralità. Per tre lati – est, sud ed ovest – si sentiva protetto dall’acqua salata, a nord dall’acqua santa, cioè dallo Stato Pontificio, che riteneva inespugnabile in quanto storicamente protetto sia dalle cattolicissime Francia ed Austria.
In realtà re Ferdinando non aveva capito che l’età del Congresso di Vienna era finita, si sentiva ancora legato alla Santa Alleanza con Austria e Russia e confidava che i due imperatori non si sarebbero divisi tra loro. Peraltro, per se stesso, era in stretta relazione di parentela con gli Asburgo, essendosi sposato in seconde nozze con Maria Teresa d’Austria. Viceversa, temeva la crescente presenza delle flotte inglese e francese nel Mediterraneo. In particolare gli Inglesi si erano ripetutamente mostrati pronti a sostenere le mire autonomiste della Sicilia e quelle democratiche dei liberali napoletani, creandogli non pochi problemi. L’eventuale presenza nelle acque del Mediterraneo di una potente flotta russa, che sarebbe stata senza dubbio facilitata qualora i Russi avessero preso il controllo degli Stretti, a Francia ed Inghilterra appariva una minaccia, ma per il Regno di Napoli era un’opportunità di difesa dalle loro ingerenze.
Così Re Ferdinando non solo si rifiutò di partecipare all’alleanza militare respingendo la richiesta dell’invio del corpo di spedizione ma, pur formalmente aderendo alle sanzioni, di fatto in loro violazione, tenne i propri porti aperti alle flotte ed al commercio con la Russia, in particolare offrendole uno sbocco per il suo grano. Inghilterra e Francia, nonostante quest’ultima fosse istigata sistematicamente da Cavour, non avevano granché intenzione di invischiarsi in un conflitto con le Due Sicilie, ma la stampa liberale dei due Paesi avviò una potente campagna volta a figurare il Regno Napolitano come barbaro, arbitrario, crudele, indegno di partecipare al consesso civile d’Europa, dispotico, autocratico, persecutore del libero pensiero. La pressione delle opinioni pubbliche francese ed inglese sui rispettivi governi perché intervenissero a difesa della libertà dei sudditi del Regno si fece sempre più insistente.
Raccomandando con fervore la Corte di Caserta a fare concessioni liberali nelle Due Sicilie, Palmerston glielo aveva chiarito esplicitamente: “Il governo di Sua Maestà non può non tener conto dei sentimenti dell’opinione pubblica e dei circoli politici britannici, perfettamente riportati dalla stampa londinese”.
La diplomazia di Inghilterra e Francia, le due potenze vincitrici della Guerra di Crimea, tentò dunque in tutti i modi di persuadere Ferdinando II prima e, alla sua morte nel ‘59, Francesco II a concedere una costituzione democratica, a liberare dalle carceri i detenuti politici, a dare segnali di apertura. Non volevano sopprimere il Regno delle Due Sicilie, solo tacitare le proprie opinioni pubbliche.
Quando lord Palmerston, in un momento di acuta tensione, aveva forzato la mano ed era arrivato a concepire di mettere in atto la politica delle bombardiere per indurre i Borbone a mitigare la propria intransigenza, la regina Vittoria ne fu contrariata: “La Regina, dopo aver esaminato la documentazione, esprime la più decisa contrarietà ad una dimostrazione navale (che per essere efficace dovrebbe contemplare la possibilità di un’apertura delle ostilità) indirizzata ad ottenere dei cambiamenti nel regime politico delle Due Sicilie”, cambiamenti che tuttavia anch’ella auspicava fossero adottati; ma per iniziativa autonoma della Corona di Napoli.
Non ci fu nulla da fare. Quando Luigi Carafa di Traetto, il ‘direttore con referenda e firma’ delle faccende degli Esteri delle Due Sicilie – il Re, stufo di dover prendere atto a cose fatte delle iniziative dei suoi Ministri degli Esteri, aveva deciso, dal ‘52, di non nominarne più alcuno e di dotarsi per quella mansione solo di un esecutore burocratico delle sue direttive – gli inoltrò le lettere del Ministro degli Esteri del Regno Unito, lord Clarendon, nelle quali sua Maestà delle Due Sicilie veniva avvertito che, senza un mutamento della sua politica interna, “la Gran Bretagna avrebbe cessato di rispettare la massima che alcuna potenza straniera ha il diritto di intromettersi negli affari interni di un altro Stato”, lui ingiunse a Carafa di comunicare al mittente che “nessun governo ha il diritto di immischiarsi negli affari degli altri e molto meno di giudicare con modi impropri la sua amministrazione, e specialmente la sua giustizia, nella quale come in tutti i suoi rami non ravvisa Sua Maestà sia nulla da ridire”.
Ed al suo ambasciatore a Parigi intimò di chiarire all’Imperatore Napoleone III, che gli raccomandava di “mitigare i rigori della sua amministrazione”, che il Re di Napoli “non ha altro desiderio di vedersi presto liberato dalle fastidiose insistenze di Francia e Inghilterra, alle quali domanda soltanto di essere lasciato tranquillo”.
Era restato l’ultimo dei mohicani tra i regnanti d’Europa, il Re delle Due Sicilie, a pensare che ancora era in vigore la Santa Alleanza. Paradossalmente anche i ministri degli esteri di Vienna e di San Pietroburgo, le due colonne della Santa Alleanza, si prodigarono per suggerirgli di fare qualcosa, di dare un segnale di disponibilità a concessioni liberali. Fu tutto invano.
Per ultimo Re Francesco, a fronte del conflitto scoppiato nel ‘59 nel Lombardo-Veneto tra Franco-Piemontesi ed Austriaci, avrebbe ancora potuto adottare una politica attiva, intervenendo col suo peso a favore di una delle due parti, ma non volle schierarsi né con gli uni, né con gli altri.
Nel 1860 l’impresa dei Mille. Nessuno mosse un dito in sua difesa e così finì la vicenda storica del Regno delle Due Sicilie. La neutralità alla Corte di Caserta fu il totem al quale essa si impiccò.
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