Abbiamo notato una assenza eccellente dall’elenco delle attività produttive da ri-aprire e ri-lanciare con la Fase 2, che ottimisticamente vorremmo chiamare post Covid-19. Ci facciamo però trattenere dai dati padani, che non sono proprio tranquillizzanti. Chi è il grande assente? Presto detto: il Cavallo.
Nella Fase 1 tutti i soggetti proprietari di animali da compagnia hanno ottenuto il riconoscimento del loro diritto/dovere di provvedere all’accudimento di essi. Da qui anche le barzellette che hanno fatto il giro del Web sui cani in strada per fare ricorso alle sue necessità fisiologiche e intanto passeggiare senza meta. Straordinariamente esilarante e virale nel Web è stata la contestazione fatta per un pappagallo al guinzaglio da alcuni vigili urbani di una cittadina dell’entroterra napoletano.
Ricordiamo tutti il giovanotto proprietario del pappagallo dare spiegazioni ai vigili circa il proprio diritto, anzi circa il diritto di Cocò (ndr: nome di fantasia, non si sa mai con le querele per diffamazione!!) a fare i propri bisognini da bipede con le ali, correttamente imbracato dal guinzaglio del padrone-tutore. E pare che contro i Vigili l’abbia spuntata il solerte proprietario accompagnatore, con un ricorso urgente e vincente. I proprietari dei Cavalli però, per ovvi e comprensibili motivi di “stazza” dell’animale, hanno avuto soltanto il diritto di recarsi presso gli allevamenti o i maneggi – evitiamo di definirli pensioni, termine che non ci piace, perché sa di decrepito – dove i loro cavalli soggiornavano. Ma pare anche che molti proprietari, non tutti necessariamente danarosi, ma solo appassionati, hanno abbandonato i loro giocattoloni viventi per la impossibilità di continuare la… relazione.
E pare anche che la Fase 2 non preveda la soluzione del problema.
Eppure il Cavallo, come animale addomesticato, è stato sempre protagonista della storia minore e quotidiana dell’Uomo fino alla prima metà del Secolo scorso, il Novecento. Cavallo da soma, da tiro, da trotto, da galoppo, da parata, da carosello, da salto, da dressage, da compagnia, da carrozza, da rodeo, da escursione, da ippoterapia… e potrei continuare ancora. Sono state innumerevoli infatti le utilizzazioni che l’uomo ha fatto del cavallo, compresa quella un po’ tristanzuola del cavallo da carne.
Mi soffermo invece un momento sull’Ippoterapia – la più scientifica delle sue utilizzazioni – che è stata introdotta in Italia soltanto a metà degli anni ’70 del Novecento, anche se l’equitazione a scopo terapeutico ha avuto inizio già con il grande Ippocrate, greco di Kòos, padre della Medicina occidentale, circa 2500 anni fa. Egli infatti consigliava lunghe cavalcate per combattere insonnia e agitazione. Si dovette arrivare però all’anno 1759 e al medico Giuseppe Benvenuti, medico presso gli allora famosi Bagni di Lucca. Egli teorizzò un approccio scientifico all’Ippoterapia, che agisce grazie all’interazione uomo-cavallo a livello neuro-motorio e neuro-psicologico. Scrisse appositamente un trattato: Riflessioni sopra gli effetti del moto a cavallo. L’ippoterapia oggi è infatti considerata uno dei capisaldi della cosiddetta “pet therapy”, l’area terapeutica che racchiude tutte le cure che prevedono la presenza di un animale al centro della terapia destinata al paziente, che può essere anche un bambino.
E la Fase 1 del Covid-19 ha prodotto sfracelli sulla tenuta psicofisica di tanti.
Adulti e bambini. In conclusione, da queste colonne ce la sentiamo di spezzare una lancia a favore dei cavalli e dei proprietari di cavalli, degli allevamenti e dei maneggi, perché la pet therapy è a tutti gli effetti una branca, sia pure secondaria, della Medicina per l’uomo.