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Coronavirus. Le sanzioni del DPCM. La battaglia deve essere di tutti.

by Maria Vessichelli
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L’Autrice è Presidente di Sezione di Corte di Cassazione.

Sul piano strettamente sanzionatorio, si sta assistendo ad un incremento delle prospettive di intervento dell’autorità giudiziaria penale.

Il primo livello sanzionatorio è dato dalla previsione contenuta nello stesso DPCM dell’8 marzo 2020 (pubblicato in G.U. n. 59 in pari data), ove, all’art. 4, è stabilito che la violazione degli obblighi previsti nel decreto medesimo sono punite ai sensi dell’art. 650 c.p. (come già previsto nel D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020, al quale il DPCM dà attuazione).

L’art. 650 c.p. è una contravvenzione del codice penale che prevede l’ammenda o l’arresto: fino a tre mesi.

Si tratta di una sanzione penale che non impensierisce in sé, dato che non è concretamente destinata ad essere eseguita (per sospensione condizionale o per tutte le misure alternative previste dal codice per le pene basse per gli incensurati), ma comporta conseguenze comunque pregiudizievoli. Quali costituire un precedente penale a certe condizioni iscrivibile nel casellario giudiziale, rapporto e costo della difesa, convocazioni da parte della PG per la elezione di domicilio etc.

Inoltre, come per ogni reato, la PG, ai fini di accertarlo, può fermare il sospettato, identificarlo e, ove questi si rifiuti o non abbia documenti, accompagnarlo negli uffici di PG per la identificazione.

Il secondo livello scaturisce direttamente dalle direttive impartite dal Ministero dell’Interno per il coordinamento dei Perfetti che, a norma dell’art. 4 del DPCM, hanno il potere di assicurare l’esecuzione delle misure.

E’ previsto che si richieda al cittadino che si sposti all’interno della zona rossa, ovvero verso l’esterno, una autocertificazione attestante che le ragioni dello spostamento rientrino fra quelle previste dal decreto (esigenze lavorative, necessità, salute).

Non è scritto nel decreto, ma deriva dalla normativa sulle autocertificazioni (art. 76 dpr n. 445 del 2000), che il rilascio di autocertificazione mendace è punita ex art. 483 c.p. e che è un delitto con pena della reclusione fino a due anni.

Il rilascio di autocertificazione, in base alle ordinanze regionali, viene richiesto al cittadino dalle forze di polizia in occasione dei controlli che vengono effettuati, evidentemente a campione, non solo nelle zone rosse ma anche nelle principali reti di comunicazione stradale e ferroviaria, all’arrivo di pullman di cui si accerti la provenienza dalle zone rosse etc.

Per tutti i soggetti che provengono dal nord verso le regioni meridionali (si ha notizia di dichiarazioni in tal senso da parte del Governatore della Puglia e della Calabria, ma risulterebbero provvedimenti similari anche per il Lazio e la Campania), l’accertamento che in questi giorni la persona viene da una delle zone rosse, farebbe scattare la consegna del provvedimento di quarantena fiduciaria, rispetto al quale, il DPCM prevede (all’art. 1 comma 1 lett. c) il divieto assoluto di mobilità.

Il Ministro dell’interno Lamorgese ha anche fatto riferimento alla possibilità di utilizzare l’art. 452 c.p. che punisce con pene molto alte chi cagiona per colpa una epidemia.

La previsione, nel DPCM, di sanzione penale fa ritenere pressoché certo che i comportamenti sanzionabili sono oggetto non certo di un generico invito ma di un vero e proprio obbligo, al di là della incerta sintassi del decreto stesso.

Anche la logica fa ritenere che, laddove all’art. 1 del DPCM, è scritto alla lett. a) “evitare ogni spostamento…”, non ci si trovi di fronte ad un invito generico ma ad un ordine impartito in primis ai cittadini ma contemporaneamente alle forze di polizia di impedire quanto descritto nel precetto.

Dunque, se la lett. a) impone di non spostarsi dentro e verso fuori dalle zone rosse individuate, se non nei casi e per le necessità espressamente previsti, la lett. b) e la lett. c) si rivolgono a quegli stessi soggetti di cui alla lett. a) che, tuttavia, presentano o la sintomatologia sospetta o addirittura la accertata positività rispetto al virus. E a questi – soggetti che hanno bisogno di cure o comunque di assistenza sanitaria – viene rivolta, nel primo caso, la raccomandazione di non spostarsi ma di contattare via telefonica l’apposito presidio sanitario, e, nel secondo caso, l’imposizione di quarantena. Quest’ultima evidentemente è destinata a prevalere anche sulle necessità di uscita di cui alla lett. a).

Lo spirito del decreto è quello di ricorrere a misure forti per l’attuazione dell’unico vero protocollo preventivo e curativo del virus: l’autoisolamento della maggioranza possibile dei cittadini, fintantoché la curva del contagio non cominci a ridiscendere.

E ciò all’evidente fine di evitare che l’esplosione del contagio comporti il collasso dei presidi ospedalieri.

E’ altrettanto vero che se fino ad ora la mortalità ha riguardato essenzialmente persone anziane, ciò è stato possibile perché i giovani infetti hanno potuto godere dei poli di assistenza intensiva che sono risultati idonei a supportare la loro reazione al virus.

Ma la saturazione dei centri di assistenza finirebbe per privare i giovani medesimi di quel supporto e per lasciarli ad affrontare senza aiuti esterni una patologia che si presenta comunque importante.

Perciò tutti, giovani compresi, dovrebbero comprendere che il messaggio dei provvedimenti di urgenza fin qui adottati è soprattutto quello di sviluppare, nell’intera collettività, una maggiore coscienza civile e sanitaria e coinvolgere ogni cittadino nella battaglia. Che non può essere vinta se non con la partecipazione generale.