La reazione alla paura non è più razionale della paura stessa. Questo il sunto della giornata di ieri: buona parte delle barriere edificate contro il morbo si stanno smontando. Zaia, in Veneto, dà libertà ai sindaci di decidere cosa resterà chiuso e cosa si riaprirà. Cirio media, in Piemonte, e chiede di riaprire le scuole da mercoledì. In Lombardia, dopo la riapertura serale dei bar, torna fruibile il Duomo. Ed i campi di calcetto, ma solo senza pubblico. Contemporaneamente cambia il metodo con cui si contano gli ammalati: verranno annunciati solo i sintomatici.
Questo fornirà ciò che la gente chiede. Ovvero che, dopotutto, non c’è mai stata nessuna vera emergenza. Una gestione psicologica della vicenda che inverte tutti i canoni cui siamo abituati. La dott.ssa Kubler-Ross, nel suo modello a cinque fasi sull’elaborazione del dolore, descriveva questa alternanza di stati emotivi di fronte ad una grave notizia: negazione, rabbia, negoziazione, depressione, accettazione. Noi abbiamo invertito le prime due. Prima la rabbia, poi la negazione.
E qui delle due l’una: o le misure precauzionali prima erano esagerate o l’euforia dopo è prematura. Non abbiamo modo di saperlo a priori, ovviamente. Possiamo solo fare esperimenti. Che, però, mostrano in maniera impietosa un dato di fatto: la politica sta rincorrendo il popolo, non sta certo guidandolo. All’inizio si volevano notizie: vere, mezze vere, ansiogene o direttamente terrorizzanti? Ecco la conta del contagio. Qualcuno si è stufato di stare a casa domandandosi cosa succederà? Ecco che parte la campagna di ottimismo. Tutto questo, va detto, motivato anche da alcuni scontri nel mondo scientifico.
Ci spiegheranno in seguito e con calma come sono andate le cose. Gliene saremo tutti grati naturalmente. Ma nel frattempo sarebbe bene evitare di chiudere un discorso complesso con una soluzione comoda. Eppure, è precisamente il segno dei tempi: lieto fine, purché sia.
Riapre il Duomo, ma restano vietate le messe. Questo, signori, dalla Milano del 2020, è tutto. Per ora.