Il 10 settembre chiuderà i battenti la 79^ Mostra del cinema di Venezia. Prima di commentare quello che sarà il film premiato con il Leone d’oro, riflettiamo sulle tematiche proposte dai nostri registi in concorso: Crialese, Guadagnino, Amelio, Nicchiarelli e Pallaoro. Qual è il denominatore comune di queste pellicole, rispettivamente: L’immensità’ di Emanuele Crialese, ‘Bones & All’ di Luca Guadagnino, ‘Il Signore delle Formiche‘ di Gianni Amelio, ‘Chiara’ di Susanna Nicchiarelli e ‘Monica’ di Andrea Pallaoro? E’ ancora e sempre l’amore declinato in tutte le sue più ampie, difficili, complesse declinazioni. I film non raccontano storie d’amore tradizionali uomo/donna ma relazioni fluide, in cui il genere perde completamente la propria identità e si mescola nell’altro.
Nel film di Crialese, ad esempio, si parla di un rifiuto d’identità, la protagonista Adriana si sente uomo dalla nascita. In questo percorso ovviamente osteggiato in primis dallo Stato, Adriana ha l’appoggio incondizionato della madre. Anche Monica è una ragazza transgender, allontanatasi per ovvi motivi dalla famiglia e che cercherà di recuperare il rapporto con la madre che l’aveva rifiutata. Ne Il signore delle formiche di Gianni Amelio la storia è quella vera, raccontata dalle cronache del tempo, del critico Braibanti accusato di plagio verso un ragazzo minorenne. Storia d’amore con risvolti omofobici potenti che nel 1968, in un’Italia bigotta e retriva porterà alla condanna di Braibanti a nove anni di carcere. Il film sottolinea la diversità tra i nostri tempi, anche se molta strada c’è ancora da fare, ed un’epoca in cui i generi erano e dovevano rimanere decisamente definiti. La sofferenza dei due personaggi, l’isolamento, la condanna della gente, la gogna mediatica mostrano quanti passi avanti si sono fatti ma anche quanto ancora si deve fare per lavorare soprattutto sulle coscienze e l’habitus mentale della comunità.
Se questo è il tema dominante della produzione italiana in concorso mi domando dove sia l’impegno politico, ecologico che pure tanto è importante in un mondo che sta attraversando cambiamenti epocali, non ultimo il cambiamento climatico.
Il personale è politico, lo slogan forse bene racchiude la scelta dei nostri registi.
Betty Friedan ne “La mistica della femminilità”, pubblicato nel 1963, dopo aver intervistato numerose casalinghe, concluse che le donne soffrivano di una profonda insoddisfazione e di problemi di identità. Secondo la teorica femminista la soluzione di tale problema, che all’apparenza sembrava un fatto solo personale, stava nel trovare la causa del malessere nella posizione che le donne occupavano nella società. Se un problema è un problema di tutte, non è un problema del singolo ma della società.
Questo esempio rende bene, a mio avviso, la scelta fatta a Venezia. Se il problema dell’amore, dell’innamoramento, della libertà di scegliere chi essere e con chi essere è così diffuso non è più un problema del singolo ma della società che, ancora, nonostante tutto, isola e addita la diversità. Sono quindi film politici. I registi spingono per arrivare al punto di non usare più la parola diversità.
Omnia vincit amor et nos cedamus amori (L’amore vince tutto, arrendiamoci anche noi all’amore) (Virgilio, Bucoliche X, 69).