“che facimm cantà ‘e creature? l’inno europeo, o’ portoghes’, l’italiano e… ‘chill spagnuolo?”
Questo avrà pensato la maestra del coro delle voci bianche del San Carlo quando si è vista recapitare i testi di tre inni su quattro. Possibile che la Spagna non abbia il suo testo nazionale?
Digitando inno nazionale spagnolo su Google avrà trovato la versione, andata in scena nel nostro Massimo, che tanto ha fatto imbestialire la stampa spagnola ed imbarazzare i reali di Spagna ed il nostro Presidente.
Facciamo un passo indietro. Il re di Spagna Felipe VI, insieme con il padre, il re emerito Juan Carlos, particolarmente affezionato alla nostra città, ha partecipato, a Napoli, al tredicesimo simposio di Cotec Europa. La cerimonia di inizio lavori si è svolta nel teatro San Carlo, e qui l’orchestra il Sanitansamble (che aiuta i ragazzi a rischio ad imparare la musica con il metodo Abreu), e il coro di voci bianche del teatro stesso, hanno esordito con l’inno europeo, l’Inno alla gioia, per poi intonare i tre inni nazionali di Portogallo, Spagna e Italia, i Paesi partecipanti al convegno. Al momento di interpretare l’inno spagnolo, ufficialmente privo di parole, i bambini hanno però cantato il testo originario, che era l’inno franchista, composto nel 1928 dal poeta di Granada, José Maria Peman. Il testo in traduzione recita, tra l’altro: “Viva la Spagna! Alzate le braccia, figli del popolo spagnolo che risorge. Gloria alla patria, che è riuscita a seguire il percorso del sole sull’azzurro del mare. Trionfa, Spagna! Le incudini e le ruote cantano al ritmo dell’inno della fede. Insieme a loro cantiamo in piedi la vita nuova e forte del lavoro e della pace…”.
Per molti storici il brano musicale in questione sarebbe stato regalato al re Borbone di Spagna da Federico Guglielmo di Prussia a Berlino, dove Carlo III, colui che fece costruire a Napoli il San Carlo, era stato invitato a un matrimonio. Nel 1770 Carlo III dichiarò la Marcha de Granaderos musica d’onore per le solenni occasioni. E fu solo perché al concorso nazionale indetto dal generale Prim, nel 1868, non si presentò nessuno che la Marcha continuò a rappresentare in note, senza parole, il Paese.
L’inno di Spagna sarebbe, quindi, il più antico d’Europa, con un ritmo marziale gradito da subito al dittatore Francisco Franco che però vi fece aggiungere i versi scritti da José María Pemán, con parole e rime inneggianti al nazionalismo. Morto il caudillo nel 1975, con l’insediamento del nuovo capo di Stato della restaurata monarchia, Juan Carlos I, la Marcha Real ha continuato ad essere inno nazionale, ma privato di un testo troppo legato ad un’epoca da dimenticare. Si ritornò dunque a una versione «pura», storicamente corretta, legata al grande sovrano illuminato, Carlo III.
E veniamo a Napoli, mattina del 7 maggio, Teatro San Carlo, il re di Spagna, Felipe VI, al momento dell’esecuzione degli inni, non muove un muscolo, l’etichetta glielo impedisce, ma chissà cosa avrà pensato. Dopo aver lottato contro una dittatura che ha oppresso il paese per decenni (1939-1975) e dopo averne cancellato la memoria anche attraverso il ripristino dell’inno prefranchista, ecco che qualche ingenuo, a dir poco, con un colpo di spugna musicale, ha dimostrato non solo di essere ignorante, di non saper usare internet ma anche di non conoscere la storia: diciamo che è un climax ascendente. Ovviamente la figuraccia l’ha fatta tutta l’organizzazione e con essa la città, simbolo ancora una volta di pressappochismo ed improvvisazione, dato che i diplomatici spagnoli in Italia garantiscono che, per protocollo, Madrid invia lo spartito con le indicazioni di esecuzione. Ma forse sembrava troppo strano che una nazione come la Spagna con squadre come il Barcellona e il Real Madrid, non avesse un inno che si possa definire tale. E cosa cantano i calciatori alle partite internazionali? Quel qualcuno napoletano, che ha combinato il pasticcio, avrà pensato che i giocatori non sono tenuti a cantare l’inno come in Italia!!! Teste non ne cadranno ma ovviamente al re sono arrivate le scuse di Mattarella, della soprintendente del San Carlo, Purchia, dei direttori d’orchestra e coro, ecc.
Alla fine dell’interpretazione applausi per i giovani esecutori del tutto innocenti, anzi ammirati per il loro impegno e la loro bravura. Tutto a taralluccio e vino, dunque, ma è tanto difficile coniugare professionalità e competenza, specie in questi contesti? A Napoli pare di sì.