L’immaginario comune ritrae Caterina II come una donna colta ed illuminata, influenzata nel governo dell’impero dalle letture dei testi di Voltaire e Montesquieu. La realtà dei fatti è però più complessa.
Sicuramente la formazione della principessa tedesca fu caratterizzata dallo studio del pensiero illuminista francese e Caterina scambiò anche un’intensa corrispondenza con Voltaire, essendo lei stessa scrittrice e critica. La zarina fu anche un’imperterrita sostenitrice del progetto di civilizzazione del paese, incoraggiando lo sviluppo dell’istruzione, della ricerca scientifica e della stampa.
Nonostante ciò, e le numerose dichiarazioni di adesione ai precetti filosofici dell’epoca, le politiche da lei sostenute si distaccarono nettamente dalle sue parole. I suoi provvedimenti non portarono ad un miglioramento delle condizioni sociali e di vita della maggioranza, al contrario l’alleanza tra corona e nobilità si rafforzò a discapito soprattutto della già vasta categoria di servitori della gleba.
Per impossessarsi del trono del marito, lo zar Pietro III, infatti, Caterina si assicurò il sostegno della corte e della nobiltà e i suoi numerosi favoriti, in particolare Potëmkin, le assicurarono un importante sostegno politico e soprattutto militare in cambio di cariche e posizioni governative.
La prima novità introdotta dalla zarina fu la pubblicazione della nakaz (direttiva), che mirava non solo ad istituire una commissione legislativa, ma anche a dare delle vere e proprie istruzioni circa la razionalizzazione e modernizzazione delle leggi e della vita russa.
È proprio in questo documento, così come nelle riviste di propaganda, che Caterina II sostenne la volontà di dar vita ad una società più equa e di umanizzare il trattamento dei servi nelle campagne.
La commissione legislativa istituita nel 1767 comprendeva 564 deputati, tra cui 28 nominati direttamente dall’imperatrice che rappresentavano le istituzioni dello stato e gli altri 536 eletti, rappresentanti i vari ceti sociali: 161 per la nobiltà terriera, 208 per gli abitanti delle città, 79 per i contadini e 88 per i cosacchi e altre minoranze nazionali.
Il lavoro dell’assemblea non portò ad effettivi cambiamenti dell’ordinamento statale e sociale, incrementando invece la competizione tra e all’interno delle classi, ma fu sicuramente utile nel fornire alla zarina numerose e preziose informazioni circa la condizione sociale in cui verteva il paese.
Gli attriti e le insoddisfazioni di diversi ceti sociali trovò sfogo nella ribellione di Pugačëv, veterano cosacco del Don, il quale, sfruttando l’assenza dell’esercito impegnato nella guerra contro la Turchia, riuscì a controllare vaste aree delle regioni orientali della Russia europea, conquistando il supporto delle masse oppresse dall’ingiustizia del sistema sociale.
Identificandosi con lo zar deposto Pietro III, Pugačëv diede vita ad una vera e propria corte imperiale opposta a quella di Pietroburgo e annunciò la volontà di sterminare i funzionari e proprietari terrieri, eliminando la servitù della gleba.
Come ogni movimento del genere, anche quello del veterano cosacco peccava di preparazione e coordinamento dinanzi all’organizzazione statale; sfidato dalle truppe imperiali, infatti, Pugačëv subì una sconfitta cruciale nel 1774 che portò alla sua cattura, condanna a morte e alla fine della ribellione.
Colpita dalla portata della mobilitazione di massa scatenata dalla ribellione e dal crollo delle autorità che questa comportò, Caterina II lavorò ad un nuovo sistema di governo locale basato su un maggior decentramento e una chiara distribuzione dei poteri, seppure non si raggiunse mai una vera e propria distinzione tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario né tantomeno un indebolimento del carattere autocratico del centro.
Il nuovo ordinamento prevedeva un incremento delle provincie, tracciate ignorando ogni considerazione di carattere storico e regionale, alla testa delle quali era posto un governatore scelto tra i nobili locali, classe i cui privilegi furono ulteriormente assicurati con la promulgazione della Carta della nobiltà nel 1775. Il documento confermava i vantaggi già acquisiti dall’aristocrazia e riconosceva alla piccola nobiltà la piena proprietà dei loro poderi, comportando una dilatazione e legalizzazione del fenomeno della servitù della gleba, già ampiamente diffuso. Dal censimento del 1794-1796 risultò infatti che i servi costituivano il 53,1% degli addetti alla terra e il 49% dell’intera popolazione del paese.
La Carta della nobiltà è stata successivamente considerata dagli storici il momento in cui il moderno concetto di proprietà privata veniva introdotto nella realtà russa, e purtroppo anche il momento in cui il giogo sui servi della gleba raggiunse il suo apice.
Un’altra importante strategia interna promossa in quegli anni fu la colonizzazione delle aree dell’impero più tumultuose, pratica che verrà adottata in più occasioni nella storia russa, in particolare delle regioni da poco sottratte all’impero ottomano.
I coloni provenivano da popolazioni esterne all’impero a causa delle ferree leggi russe che limitavano fortemente gli spostamenti della popolazione residente nel paese; in particolare, un massiccio numero di tedeschi fu trasferito nelle aree lungo il Volga e nella Russia meridionale.
Uno dei maggiori meriti di Caterina fu quello di aver dato seguito alle strategie e le politiche di Pietro il Grande in materia di affari esteri. Pietro I aveva posto fine al problema svedese, seppure altri attriti minori tra le due potenze si verificarono ugualmente, ma le tensioni con il vicino impero ottomano e il regno di Polonia persistevano. La zarina, quindi, assecondando le mire espansionistiche dell’impero, risolse la competizione con la Turchia annettendo i territori del Mar Nero e, alleandosi con Prussia e Austria, partecipò al progetto di spartizione dell’ormai debole Polonia, ponendo così fine anche alla minaccia polacca.
Il primo conflitto con la Turchia durante il regno della Grande si verificò tra 1768 e 1774, inaugurato dall’ambizione russa di raggiungere il Mar Nero, ma nonostante la vittoria zarista portò solo all’indipendenza della Crimea tatara e non alla vera e propria annessione dei territori desiderati.
Ben presto, infatti, la Russia annetté la Crimea fondando la città di Sebastopoli e scatenando la reazione turca che nel 1787 diede il via ad un secondo conflitto tra i due imperi. In quest’occasione lo scontro portò ad una risoluzione più o meno definitiva del problema turco, in quanto la vittoria russa, con il sostegno austriaco, permise all’impero di espandere i propri confini fino dalla costa del Mar Nero fino al Dnestr.
Come anticipato precedentemente, ulteriori acquisizioni territoriali si verificarono in seguito alle spartizioni della Polonia, ma la complessità della dinamica richiede un’analisi a sé stante della questione.