E’ il titolo della mostra aperta a Capodimonte, con appendice a Forcella, dal 12 aprile al 14 luglio. Il direttore generale del Museo e Real Bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger e Alessandro Pasca di Magliano, Soprintendente del Pio Monte di Misericordia, l’hanno inaugurata l’11 aprile, presentando il percorso espositivo.
Già il titolo della mostra fa capire l’intento dei curatori: centrare l’attenzione sulla produzione napoletana del Maestro che ebbe con la nostra città un rapporto preferenziale. Vi soggiornò diciotto mesi tra una fuga e l’altra: 1606-1607 e 1609- luglio 1610 sono le date della sua presenza. Un periodo breve ma di tale produzione da creare una vera e propria scuola pittorica che gli sopravviverà ben oltre l’impronta che egli lasciò in altre città. Durante il primo soggiorno realizzò le Sette opere di Misericordia, per il Pio Monte di Misericordia, la Flagellazione per la chiesa di San Domenico ed attualmente al Museo di Capodimonte; nel secondo periodo dipinse il Martirio di Sant’Orsola che si trova a Palazzo Zevallos Stigliano e il San Giovanni Battista che è alla Galleria Borghese di Roma. Le Sette opere di Misericordia non sono a Capodimonte per il diniego del Ministero dei Beni Culturali ma, nella mostra, l’opera è presente in formato digitale. Nella Chiesa del Pio Monte a soli due chilometri dall’esposizione, distanza che sarà possibile percorrere in navetta, si è tentato di ricostruire come il dipinto fosse stato concepito in origine dato che la chiesa, nella quale avrebbe dovuto essere esposto, poi demolita, era molto diversa dall’attuale: più piccola e a pianta longitudinale. L’intento espositivo al Pio Monte, attraverso un gioco di luci, prova a mostrare al visitatore quale sarebbe stata la vera luce che avrebbe illuminato il quadro.
Questa mostra intende, nello specifico, approfondire le tracce delle opere napoletane disperse di Caravaggio sulle tele dei suoi scolari e le relazioni con i committenti che da subito compresero il valore economico delle sue tele.
La Sala Causa che ospita i capolavori concentra, dunque, attraverso un intenso itinerario, forse eccessivamente buio, la produzione napoletana, confrontandola con le opere dei suoi seguaci sullo stesso tema: esse risultano, a volte, una preziosa testimonianza per dipinti del Merisi andati perduti.
Perché ancora Caravaggio? Ricordiamo le straordinarie mostre del 1985 Caravaggio e il suo tempo ad opera di Spinosa, che fece seguito all’altra Civiltà del Seicento a Napoli, che aprirono la strada ad un rinnovato interesse verso un periodo della storia napoletana, solitamente considerato epoca di straccioni e lazzaroni affamati.
Perché ancora Caravaggio? Michel Foucault scrive che nei quadri di Caravaggio: attraverso l’abbigliamento, il modo di fare, la maniera di agire e reagire e di comportarsi, il corpo stesso della verità è reso visibile, attraverso un certo stile di vita. Una vita concepita come presenza immediata, eclatante e selvaggia della verità. Esercitare nella vita, attraverso il proprio corpo, lo scandalo della verità. Quello che colpisce, quindi, nei quadri è la verità della rappresentazione, la Madonna dai piedi scalzi e sporchi, i volti segnati dalle malattie, gli ambienti che ben rendono la cupezza della Napoli secentesca, l’asimmetria nella postura delle figure, il coraggio di dire la verità con la propria opera, con la propria vita. Il coraggio di dire la verità a qualunque costo. E’ questa la forza di Caravaggio, testimoniata dalla sua vita inquieta e perseguitata, ed è quello che noi vorremmo dall’arte: la verità.
Già solo nella giornata inaugurale il pubblico è stato numeroso. Sicuramente l’esposizione sarà un successo sia per il protagonista che per la ormai insaziabile sete di eventi che si succedono in città, nonostante il costo del biglietto non sia popolare, ma la bellezza dei sei capolavori caravaggeschi e la location meritano un sacrificio.