Unanime, trasversale, commosso il cordoglio per la morte di Eugenio Scalfari. Cosa aggiungere a tutto ciò che è stato detto, ricordato, commentato?
Ognuno di noi, ancora anagraficamente con un piede ben saldo nel Novecento, non può non averne un proprio personale ricordo. In primis lo Scalfari giornalista ed editore, legato a doppio filo a testate come l’Espresso e Repubblica. Ricordo quando mio padre portava quel foglio enorme, l’Espresso, con titoli cubitali che a noi sembrava una noiosa lettura per adulti e che invece abbiamo cominciato a leggere, ad amare ed a condividerne le posizioni. Nella nostra piena gioventù ci ha accompagnato il quotidiano che fin da subito fece sue le battaglie per i diritti civili. La lucida guida di Scalfari ha fatto in modo da dare voce coerente e razionale a quanto magari solo visceralmente sentivamo. Se la nostra opinione trovava conferma in un editoriale del Direttore ci sentivamo dalla parte della ragione e del giusto. E non solo per il carisma di Scalfari, ma perché sapeva puntualmente e con puntigliosa precisione addurre tutte le giuste cause perché quella battaglia fosse condotta, creando così un’opinione pubblica che aderiva perfettamente alla posizione del giornale. Senza contare l’antiberlusconismo che seppe interpretare ed esserne il portavoce più autorevole. La sua battaglia è stata intensa ed epocale, salvo poi, recentemente, a chi gli chiedeva chi avrebbe scelto tra Di Maio e Berlusconi, senza esitazione nominò Silvio.
Era il secolo di carta, quel XX secolo in cui fiorivano le testate, i giornalisti erano spesso eroi. Forse anche per questo la scomparsa del Direttore ci rattrista: scompare l’immagine stessa del quarto potere, a vantaggio di una comunicazione che per ovvie ragioni utilizza un codice del tutto diverso, data la mutazione del mezzo. Ma quanto rimpianto per lo stile dei pezzi di Scalfari e per quello di coloro che hanno collaborato con lui in un percorso lungo ed affascinante di vita e carriera. Non ci lasciò indifferenti la ribadita esigenza del fondatore di Repubblica di voler «pezzi d’autore». L’affermazione non suonava tanto come un invito alla qualità, ovvio in un giornalismo in cui la forma ha prevalso a lungo sulla sostanza, in cui la buona scrittura ha mascherato la dipendenza a tanti poteri, quanto alla volontà di avere redattori di carattere, con una personalità politica e culturale (Michele Serra).
Negli ultimi anni la sua fragile figura continuava ad apparire, saldo il suo legame con i lettori con cui continuava ad interloquire sui grandi temi del presente ma anche sulla morte. Il suo dialogo da ateo convinto con Papa Francesco ha segnato la sua tarda vecchiaia ed in qualche modo ci ha indotto a riflettere su quanto si abbia bisogno di una speranza, o anche solo di una riflessione metafisica, quando ormai tutto è stato dato alla vita. Un dialogo in cui il Papa seppe riconoscere al grande giornalista l’onestà della coscienza e la forza del suo illuminismo anche se non illuminato dalla fede.
Ad Eugenio Scalfari, grande conoscitore ed amante dei classici, non dispiacerà che il nostro saluto siano alcuni versi di Orazio (Odi III, 30): Exegi monumentum aere perennius / Regalique situ pyramidum altius, / quod non imber edax, non Aquilo impotens / possit diruere aut innumerabilis / annorum series et fuga temporum. / Non omnis moriar multaque pars mei / Vitabit Libitinam.
Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo e più elevato della mole regale delle piramidi, che non la pioggia corrosiva, non l’Aquilone impetuoso potrebbe distruggere o l’innumerevole serie degli anni e la fuga dei tempi. Non tutto morirò e molta parte di me eviterà Libitina.