Lo scorso 5 febbraio, la 6^ sezione penale del Tribunale di Napoli ha pronunciato la sentenza tanto attesa sulla bonifica di Bagnoli.
Sei persone sono state condannate, con pene dai 2 ai 4 anni, per concorso in disastro colposo nonostante la previsione dell’evento (spero di aver sintetizzato correttamente).
Quindi c’è il disastro e ci sono i colpevoli. Però non c’è il dolo. Di questa verità giudiziaria si possono dare molte letture.
Un modo di vedere la cosa è sostenere che l’impianto accusatorio abbia retto. Così il PM, ma sembra un bel po’ forzato. La derubricazione dei reati da dolosi a colposi e le svariate assoluzioni sembrano offrire uno scenario ben diverso da quello prospettato dall’accusa. Non c’è truffa, imbroglio, malaffare, malversazione o come vi piace definirlo. Magari negligenza, imperizia, inerzia, perfino incapacità, colpa insomma, ma è ben altra cosa. Anche per la valutazione storica degli eventi e per la definizione degli scenari futuri.
Un altro è dire che la derubricazione lascia ancora nell’ombra il grumo di interessi che hanno lucrato le ingenti risorse pubbliche impegnate negli anni (Paolo Nicchia dell’Assise di Bagnoli). Vuol dire non condividere la sentenza e temere che quegli stessi interessi tornino a farsi sentire. E’ forte, vorrei sapere su quali basi si afferma, ma ha una sua coerenza e trova giustificazione in tante esperienze.
Un altro ancora è pensare che, in piena campagna elettorale, col clamore mediatico che c’è stato sull’argomento, è andata anche bene. Col tempo e a mente fredda, nei successivi gradi di giudizio si giungerà all’assoluzione o alla prescrizione. Così la penserei io se fossi uno dei condannati.
Se però proviamo a cambiare angolo visuale, appare una prospettiva diversa. Ipotizziamo che non ce ne possa fregare di meno delle condanne. Che il disastro ci fosse già noto da una vita e che a conti fatti quello che ha pesato veramente sia stata la perizia disposta dal Tribunale e i risultati della caratterizzazione voluta dal Commissario, non depositata agli atti ma incombente sul processo.
Immaginiamo, pertanto, che l’unica cosa che veramente c’interessi adesso sia che la bonifica venga fatta presto e bene (immaginiamo cioè di essere cittadini napoletani con le scatole piene). Cosa resta di questa sentenza? Niente.
L’unico vero, importante contributo che avrebbe potuto dare sotto questo profilo era il dissequestro delle aree. Leggete cosa dice al riguardo: “Dispone la revoca del sequestro preventivo delle aree del s.i.n. di Bagnoli sottoposte a sequestro e la restituzione all’avente diritto, al passaggio in giudicato della sentenza”.
Capito? Al passaggio in giudicato, ci vediamo fra qualche anno, dopo la Cassazione. Bisogna dire che quando la burocrazia ci si mette è proprio brava. Il collegio giudicante ha fatto quello che doveva e nello stesso tempo non si è assunto responsabilità. Neanche Ponzio Pilato.
Che si fa adesso? Io farei grossomodo così se fossi il Commissario o Invitalia: impugnerei la sentenza limitatamente al dissequestro; inizierei a lavorare su quel 40% di aree che è comunque libero; bandirei quelle progettazioni che sono ancora in mente Dei.
Signor Commissario e signor Amministratore Delegato, lo vogliamo battere un colpo?