C’è solo un evento della storia repubblicana equiparabile in qualche modo ai funerali di Silvio Berlusconi, le esequie di Enrico Berlinguer.
Non tanto per le dimensioni della partecipazione di piazza. Il 13 giugno 1984, funerali di Berlinguer, a Roma confluirono due milioni di Italiani contro i diecimila di Milano l’altro giorno, 14 giugno 2023, alle esequie di Berlusconi (ma l’audit tivvù per Berlusconi ha superato i cinque milioni di spettatori!). I due eventi sono assimilabili piuttosto sotto il riguardo politico.
Berlinguer, come Berlusconi, fu un leader di parte, quindi divisivo. Lui, contrariamente al cavaliere, non era neanche stato un uomo di governo. Era un segretario di partito, eppure gli furono accordati i funerali di Stato, col presidente Pertini in prima fila. A quell’evento presenziarono numerosi Capi di Stato e leader politici del mondo intero, da Arafat al premier cinese Ziyang, a Michail Gorbaciov a tanti altri. Vi si recò anche Giorgio Almirante, l’esponente della destra post-fascista, da giovane aderente al PNF, il Partito Fascista, poi repubblichino, infine segretario nazionale del MSI. Da solo, si mise ordinatamente in fila con i ‘compagni’ del PCI in attesa del suo turno per entrare in Botteghe Oscure, dove era stata allestita la camera ardente. Non fu fischiato dalla gente, o respinto come indesiderato dai dirigenti del PCI. Lo accolsero Giancarlo Pajetta e Nilde Jotti e lo accompagnarono con rispetto al cospetto della salma del comunista Enrico Berlinguer dove il fascista Almirante si inchinò e si fece il segno della croce. Donna Assunta, quando il marito le aveva detto che sarebbe andato alle Botteghe Oscure, e da solo per giunta, lo aveva redarguito: “Ma che fai? perché Giorgio? Quelli sono i tuoi nemici!”. E Almirante: “Lui al mio sarebbe venuto!”
A parti invertite, ieri nel Duomo di Milano, ad omaggiare Silvio Berlusconi c’erano tutte le massime cariche dello Stato, ed anche la leader del PD, il partito che nell’ultimo trentennio lo ha combattuto in tutti i modi, criminalizzandolo e denigrandolo come esponente della peggiore Italia. Eppure Elly Schlein – ed anche il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, anch’egli PD – erano lì, silenti a onorarne la salma.
Alle esequie di Berlinguer, oltre al popolo della sinistra, ci fu una rappresentanza pressoché esclusivamente politica; a quelle di Berlusconi, oltre alla politica c’erano lo sport, la finanza e l’impresa, il mondo dello spettacolo e delle tivvù. I due, nei rispettivi tempi, hanno interpretato e rappresentato uno spaccato rilevante dell’Italia, comunque di una parte contrapposta ad un’altra. La classe operaia e la cultura il primo, i ceti piccolo-borghesi rampanti il secondo.
Enrico Berlinguer morì nel momento più difficile della sua stagione politica, l’Italia stava cambiando sotto i suoi occhi e stava sfuggendo dalle mani della sinistra operaista. Il boom degli anni Sessanta prima ed il ‘68 poi, con le molteplici conquiste sociali e civili, avevano innescato un dinamismo nuovo nelle classi sociali italiane. Si era messo in moto l’ascensore sociale; tanti tendevano a sottrarsi dalle catene di montaggio per intraprendere la via delle professioni e della piccola imprenditoria. “Del resto, mia cara, di che si stupisce? anche l’operaio vuole il figlio dottore…” aveva cantato nel ‘66 Paolo Pietrangeli, e negli anni Ottanta erano ormai tanti i ‘dottori’ provenienti da famiglie operaie o contadine in via di integrazione nelle classi dominanti.
La piccola borghesia emergente ed in ascesa sociale soffriva la cappa politico-burocratica dello Stato che condizionava a tutti i livelli la vita economico-sociale. I costi dell’intermediazione politico-burocratica apparivano ai suoi occhi insopportabili. Bettino Craxi col suo PSI colse il cambiamento in atto mettendo in pochi anni ai margini del sistema il PCI. I quarantamila della FIAT del 1980 e la sconfitta della ‘classe operaia’ nel referendum sulla scala mobile del 1985 segnarono la fine del mondo di Berlinguer, il colpo di grazia glielo avrebbe dato la caduta del muro di Berlino. Lui morì nell’83 e la grande emozione collettiva suscitata dalla sua scomparsa avrebbe condizionato l’opinione pubblica italiana nelle elezioni europee dell’84 in cui il PCI risultò il primo partito col 33% dei voti. Fu un miraggio, l’anno dopo ci fu la grande sconfitta sulla scala mobile. Passata l’emozione, depositata la sua polvere, riemerse la nuova Italia della piccola borghesia emergente. Fu il momento di maggior auge di Bettino Craxi.
Nei pochi anni di egemonia politica di Craxi al governo dell’Italia lo Stato era diventato più leggero, ma l’intermediazione politico-burocratica non era cessata. Complici anche gli equilibri della guerra fredda che sconsigliavano operazioni destabilizzanti, essa a fine anni Ottanta ancora opprimeva come una cappa la nuova società emergente. Fu dopo il crollo dell’URSS che il tappo saltò. La nuova società scese in campo, mise sotto accusa tutta la classe politica che dal dopoguerra aveva governato l’Italia, l’intermediazione politica fu additata per quello che di fatto era, pratica estorsiva e corruttiva. La magistratura perse i freni determinati dalla guerra fredda. Fu come un golpe, arresti di massa di politici democristiani e socialisti, fine dei partiti tradizionali, nascita di nuove formazioni politiche. La nuova Italia cercava la nuova politica. La classe dirigente dell’ex PCI, intanto diventato PCI-PDS, fu fatta salva in prima istanza. In fondo non aveva mai governato direttamente, anzi aveva sempre denunziato la corruzione di chi aveva governato l’Italia, le sue responsabilità perciò apparivano ed erano minori rispetto a quelle di DC e PSI.
Si illusero gli eredi di Berlinguer di poter cavalcare la tigre. Occhetto impostò la politica del PCI-PDS sulla denuncia morale degli avversari, ma alla nuova società la questione morale interessava solo finché era funzionale al ricambio delle classi dirigenti, non in se stessa. I ceti emergenti volevano liberarsi dei vincoli sociali ed anche di quelli legali, delle tasse e delle regole, della morale pubblica e finanche di quella personale e sessuale. Anche la fede religiosa – quello che di essa era restato nella società ormai secolarizzata – era vissuta come un fastidio limitante delle proprie libertà. A velocità storicamente sorprendente i cittadini perdevano i legami sociali e diventavano monadi isolate, che si muovevano solo per interessi privati. Per essi i diritti erano un alibi da usare contro il prossimo, i doveri un intollerabile fardello.
Silvio Berlusconi, un imprenditore venuto dal basso, addentro al mondo dei media televisivi, insofferente verso ogni vincolo legale che potesse limitare la sua ascesa, refrattario al fisco, libertino più che liberale, fu l’espressione plastica della emergente nuova società italiana. ‘Padroni a casa propria’ contro i vincoli urbanistici e ‘Giù le tasse’ contro quelli solidaristici furono le sue prime parole d’ordine. Era quello che la nuova Italia voleva sentirsi dire. Non le proclamava solo quelle parole d’ordine, la sua stessa vita privata, sfrenata e sregolata, indifferente alle critiche moralistiche, provocatoria verso magistrati e burocrazia statale, cioè verso i custodi delle regole pubbliche e della terzietà dello Stato verso i cittadini, ne fece il campione ed il vessillo della nuova Italia. Finalmente la nuova società e la nuova politica si erano reciprocamente riconosciute.
La vecchia Italia, quella delle classi sociali fisse e dell’etica pubblica, si rifugiò negli eredi del PCI e dei cattolici popolari, infine confluiti nel PD. Da questa trincea ha combattuto per un trentennio la sua lunga guerra di attrito contro la nuova società. Lo ha fatto con dignità e con alterne fortune, comunque fungendo da salutare freno allo sgretolamento totale dello Stato. Ma con il collo ritorto all’indietro a guardare più il passato che il futuro.
Ora è morto Silvio Berlusconi e le due Italie, la nuova che in lui si è riconosciuta e la vecchia che lo ha combattuto, gli hanno reso omaggio. L’anno prossimo si voterà per le europee e l’eco dell’emozione per la sua scomparsa si riverbererà nelle urne. Era accaduto anche con Berlinguer. Ma non si illuda la destra post-berlusconiana, sulla vecchia e sulla nuova Italia pende la spada di Damocle delle Chat GTP, in cui gli algoritmi governeranno la società. Non ci sarà più bisogno né dei vecchi né dei nuovi partiti. Già, come sarà l’Italia dei partiti-algoritmi?