Nel pomeriggio del 16 di settembre appena trascorso, nel vasto complesso santuariale delle Opere Pie, presso la vasta Sala Marianna De Fusco, il Vescovo della Prelatura Nullius pompeiana, Mons. Tommaso Caputo, ha presentato un libro, scritto da Salvatore Sorrentino, Direttore della Biblioteca del Santuario. Il Prelato però ha precisato altresì che, con la presentazione del libro, si inauguravano le celebrazioni del Centocinquantesimo anniversario dell’arrivo di Bartolo Longo a Pompei, nell’Ottobre dell’anno 1872.
Il Titolo del libro è “Nel silenzio il sussurro di una voce”. E il sottotitolo, entrando nel merito, recita “L’itinerario spirituale di Bartolo Longo”. Dell’’opera, ben ponderosa, hanno parlato anche Mons. Francesco Orazio Piazza, Vescovo di Sessa Aurunca, e Mons. Francesco Asti Docente di Teologia e Parroco della Parrocchia del Redentore di Napoli.
Ha moderato gli interventi degli oratori Maria Chiara Pensallorto, che ha introdotto l’uditorio alla figura del Beato Bartolo Longo, fondatore laico del Santuario mariano di Pompei e grande propugnatore della nascita della Città nuova.
Il giovane Bartolo – sradicato dalla propria realtà familiare, contadina e piccolo borghese, di Latiano in Puglia per frequentare l’Università a Napoli – era divenuto però un militante anticlericale durante gli studi presso la Facoltà di Legge.
Egli si era infatti avvicinato a circoli aperti alle pratiche spiritistiche e a certa Massoneria versata alla ricerca esoterica, fortemente radicata a Napoli. La sua storia personale ci fa sapere che, con l’aiuto di autorevoli esponenti della Chiesa napoletana, riuscì a maturare la propria riconversione ai valori della fede in Cristo nella primavera del 1865. Da quel momento il giovane Bartolo, dotato comunque di una intelligenza feconda e anticipatrice, riprese gli studi con lena e cominciò un proprio cammino di impegno religioso, divenendo avvocato del foro napoletano, prima di trasferirsi a Valle di Pompei, allora soltanto una frazione del Comune di Scafati.
Il giovane Avv. Longo, uscito faticosamente da una propria profonda crisi spiritale, arrivò a Valle di Pompei nell’Ottobre dell’anno 1872, scendendo alla Stazione di Pompei Scavi, sito già meta turistica internazionale, ma allora ancora appartenente al Comune di Torre Annunziata.
Aveva con sé l’incarico di Amministratore dei beni dei Conti De Fusco, conferitogli dalla vedova del Conte Albenzio, anche lei pugliese, Marianna Farnararo, già coniugata De Fusco.
L’impatto con i luoghi della Valle di Pompei non fu però per Batolo Longo dei più felici e facili. Alla Stazione il giovane avvocato era stato accolto da due coloni dei De Fusco. Entrambi erano armati di fucili perché – come dai due gli fu riferito – il comprensorio vesuviano era frequente area di azione del brigante Pilone. Al secolo Antonio Cozzolino, Pilone però era stato un legittimo eroe antigaribaldino nella battaglia di Calatafimi in Sicilia, come Sergente delle Truppe Borboniche.
Da militare borbonico era rimasto un combattente lealista, legato al deposto Re Francesco II di Borbone. E per questo motivo era stato condannato in contumacia. Egli infatti era ricercato dalle truppe savoiarde con l’accusa, gravissima per i tempi, di Brigantaggio.
Bartolo Longo fu però accompagnato senza alcun problema fino al centro di Valle di Pompei. E proprio là, di fronte all’odierno Santuario, lo aspettava il palazzotto dei De Fusco, che lo avrebbe accolto da nuovo Amministratore.
Ad appena un passo dalla proprietà De Fusco c’era la nota taverna di Valle, la quale garantiva cibo e ospitalità a turisti e viandanti lungo la Via Regia delle Calabrie, all’incrocio con la antica strada che da Castellammare portava a Nola, dove si era sviluppato l’abitato di Valle di Pompei.
E proprio dalle campagne di Valle di Pompei parte il fecondo impegno religioso di Bartolo Longo, narrato dal libro di Don Salvatore Sorrentino. Si tratta di un fatto accaduto a Bartolo Longo pochi giorni dopo il suo arrivo a Valle di Pompei, appena fuori l’abitato, quando egli si trovava in località Arpaia, allora frazione di Scafati.
Il sito era allora desolato e inospitale, contiguo alla estesa zona della Crapolla, il cui nome non ricorda affatto Apollo e un tempio a lui dedicato, come qualche malaccorto archeologo ha ipotizzato in passato. Non a caso il grande Maiuri mai ha condiviso tale ipotesi. Piuttosto, quel nome Crapolla contiene il ricordo dello sgorgare dell’acqua, “pullare” nel latino tardo. Quindi il toponimo Crapolla attesta piuttosto la memoria delle virgiliane “aequora Sarnus”, in quella zona appena a monte della Pompei nuova.
In quel luogo – secondo gli oratori intervenuti – si inverò la “Marianizzazione” esistenziale di Bartolo Longo. In chiave metaforica il pellegrino Bartolo, mentre attraversa campagne avvolte in un silenzio desolato, avverte una “locutio interior“. In pratica una voce sussurata irrompe nella coscienza della sua ancor giovane vita per marchiarne l’intera esistenza. “Se vuoi salvezza propaga il Rosario” gli dice la voce.
E Bartolo obbedisce alla richiesta fino alla morte, che lo rapisce ai valpompeiani circa mezzo secolo dopo, appena qualche anno prima della istituzione del Comune di Pompei, nel 1928. Come il Profeta aveva preconizzato. Tra l’incredulità di tutti. O quasi.