L’Autore è Direttore Generale di Arpa Campania.
Da circa trent’anni, a seguito del referendum abrogativo del 1993, l’organizzazione dei controlli ambientali si è enucleata e distaccata dal complessivo sistema sanitario – pur mantenendo forti legami ed interconnessioni- con la nascita per decreto legge e la progressiva strutturazione delle Agenzie ambientali nazionale e regionali. Queste ultime, nate come costole resesi autonome dalle Aziende sanitarie locali (ASL, ex Usl), sono organismi tecnico-operativi ed enti strumentali delle rispettive Regioni deputati alle attività di conoscenza, controllo ambientale ed al monitoraggio indipendente, nell’ambito delle funzioni di prevenzione collettive collegate anche alla sfera della sanità pubblica. Esse oggi, ai sensi della legge quadro n. 132/2016, costituiscono nel loro insieme di 19 Agenzie regionali, le due provinciali di Trento e Bolzano e l’ISPRA a livello centrale, il sistema nazionale di protezione dell’ambiente (SNPA), istituzionalmente preposto all’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni di tutela ambientale (LEPTA) in modo omogeneo e tendenzialmente uniforme sull’intero territorio nazionale.
Le Agenzie regionali dell’ambiente hanno registrato, negli ultimi anni, un crescente ampliamento di compiti e responsabilità corrispondente alla sempre maggiore attualità e rilievo delle relative problematiche diffuse nella loro dimensione orizzontale e trasversale, attribuite in modo esponenziale da provvedimenti e pianificazioni statali e regionali, pur senza disporre di dotazioni e strutture adeguatamente nutrite ma invece quasi sempre contrassegnate da numeri limitati ed insufficienti, a differenza delle grandi cifre e dei consolidati apparati del servizio sanitario.
Tuttavia, al netto del ridotto profilo dimensionale, le Agenzie, pur nella loro peculiare fisionomia, richiamano per molti aspetti il modello gestionale ed ordinativo delle aziende e degli enti sanitari – da cui sono state enucleate – come per l’assetto di vertice costituito dalla “triade manageriale”, che presenta diversi elementi di similitudine nell’organizzazione e funzionamento (dalle normative applicabili al comparto contrattuale di appartenenza, dall’articolazione territoriale alle principali regole di gestione).
L’organo monocratico, sia di amministrazione e gestione che di rappresentanza legale dell’Azienda sanitaria (come dell’Agenzia ambientale), è costituito dal Direttore generale, responsabile del governo complessivo dell’ente – coadiuvato dal Direttore amministrativo e sanitario per i rispettivi ambiti – ed allo stesso compete la nomina dei responsabili di tutte le strutture dirigenziali, l’adozione degli atti a rilevanza esterna e l’esercizio del potere deliberativo e dispositivo. Il decreto legislativo 502/92, che disciplina l’ordinamento sanitario, stabilisce all’art. 36 che “tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza dell’Azienda sanitaria locale sono riservati al Direttore generale“, che viene così a cumulare monocraticamente nel suo ruolo funzioni di rappresentanza e governo gestionale, cui consegue una altrettanto ampia responsabilità di risultati.
Il Direttore generale, nell’esercizio delle sue amplissime attribuzioni, si avvale del supporto del direttore amministrativo e sanitario (denominato tecnico o scientifico nelle agenzie ambientali) che compongono assieme – sia pure con diversità di pesi e ruoli- la “triade” direzionale o manageriale, che si pone evidentemente in posizione sovraordinata rispetto a tutte le altre strutture dipartimentali e distrettuali. Questa concentrazione di poteri in capo ad un unico organo di gestione – peraltro individuale e non collegiale – è oggi inusuale nelle amministrazioni e negli enti pubblici, configurando il Direttore generale come una sorta di “autocrate” dell’ente e corrisponde, almeno in teoria, alla piena professionalizzazione e responsabilizzazione del ruolo, che si ritiene garantita dalle procedure e dai requisiti di nomina di cui al Dlgs 171/2016, con una fisionomia prettamente di natura tecnica e non politica (diversamente da quanto previsto nella fase iniziale delle riforme sanitarie).
Alla figura del Direttore generale di Azienda sanitaria o ospedaliera non si applicano, per cementata giurisprudenza costituzionale, gli insidiosi e discutibili meccanismi di “spoils system” introdotti dalle leggi Bassanini e poi Frattini (della fine anni ’90 ed inizio 2000) per i livelli più alti dell’amministrazione ministeriale, che invece alcune Regioni avevano impropriamente tentato di estendere anche a tali cariche attraverso leggi poi abrogate dalla Corte Costituzionale, proprio per la incompatibilità del sistema delle spoglie rispetto alle necessarie caratteristiche di ” spoliticizzazione” ed autonomia professionale dei manager sanitari.
La vasta latitudine delle attribuzioni gestionali del Direttore delle aziende è stata sottolineata da copiosa giurisprudenza, secondo cui allo stesso fa capo una piena competenza di ordine generale, che esclude attribuzioni esterne di altri organi ed uffici, in quanto lo stesso esprime e riassume la responsabilità complessiva di direzione aziendale.
L’incarico direttoriale è conferito dalla Regione su base parzialmente discrezionale nell’ambito circoscritto di una griglia di candidati qualificati e selezionati, sul doppio presupposto dell’iscrizione all’elenco nazionale e del superamento di una apposita selezione regionale, con la scelta finale in capo al Presidente della Regione.
Fino al 2016 i nominati venivano obbligatoriamente attinti da un elenco regionale di idonei, poi il decreto legislativo n. 171/2016 ha disciplinato l’istituzione di un elenco nazionale presso il Ministero della Salute, aggiornato con cadenza biennale sulla base di una iscrizione valida per un quadriennio e rinnovabile. Alla formazione dell’elenco provvede una Commissione mista di nomina ministeriale, previa pubblicazione di un avviso per titoli, e lo stesso è alimentato con procedura informatizzata e pubblicato sul sito del Ministero della Salute.
Alla iscrizione sono ammessi i candidati che non abbiano compiuto i sessantotto anni di età, in possesso di laurea magistrale o specialistica, di comprovata esperienza dirigenziale, almeno quinquennale nel settore sanitario o settennale negli altri settori, connotata da autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse, maturata nel settore pubblico o privato; di attestato rilasciato all’esito del corso di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria. I requisiti richiesti per conseguire l’iscrizione nell’elenco nazionale non sono affatto banali: occorre totalizzare almeno 70 punti su 100, con un punteggio complessivo che può articolarsi per un massimo di 60 punti conseguibili per le esperienze dirigenziali maturate negli ultimi sette anni e variamente dimensionate -tra ambito sanitario ed extra– e 40 punti per i titoli formativi e professionali, misurato secondo criteri predeterminati, assicurandosi così un ragionevole equilibrio tra curriculum di servizio e di formazione.
A valle della formazione di una griglia nazionale e previo l’esperimento di una selezione di secondo grado, cui possono partecipare solo gli idonei iscritti all’elenco nazionale, la Regione nomina discrezionalmente il Direttore Generale delle aziende a concorso. La valutazione dei candidati per titoli e colloquio è effettuata da una commissione nominata dal Presidente della Regione, secondo i criteri previsti dalla legge, che al suo esito gli sottopone una rosa di candidati selezionati senza formulare valutazioni comparative.
All’atto della nomina vengono formalmente definiti ed assegnati dall’ente regionale gli obiettivi di salute e funzionamento, rapportati alle risorse assegnate, e gli obiettivi generali di trasparenza e di equilibrio economico-finanziario, – con conseguente obbligo di pareggio di bilancio -, che vengono a costituire i suoi parametri di valutazione e viene poi stipulato con il Direttore generale il contratto di lavoro di diritto privato, caratterizzato da tempo pieno con obbligo di esclusività, per una durata fissata tra i tre e cinque anni, rinnovabile.
Il ruolo e le capacità manageriali dei Direttori generali sono stati consolidati dall’irrobustimento delle procedure di nomina, con la formazione di un bacino nazionale di idonei che rende più aperti e competitivi i meccanismi di selezione, organizzati dal 2017 non più su base regionale e non limitati ai soli candidati provenienti dalla sanità pubblica ma con la possibilità di attingere risorse qualificate, anche all’esterno dell’ambito sanitario e territoriale di stretto riferimento. La mobilità e rotazione dei manager in circuito interregionale può costituire una interessante opportunità per lo sviluppo di un più vasto mercato delle competenze professionali e gestionali, laddove le Regioni possono oggi avvalersi delle esperienze di manager strutturati provenienti da altri territori e di operatori capaci validamente formatisi in contesti extra-sanitari o privatistici.
Si sono già evidenziati i consistenti elementi di similitudine e parallelismo delle Agenzie ambientali -proprio a partire dalla figura del Direttore generale – con il modello normativo, organizzativo e contrattuale delle Aziende sanitarie, che si configurano se non come “consorelle” quantomeno “cugine maggiori” di quelle ambientali, soprattutto per la maggiore disponibilità di numeri e risorse (anche se le agenzie ambientali hanno una circoscrizione regionale più ampia degli enti sanitari).
Per la nomina dei loro Direttori, l’articolo 8, comma 1, della legge quadro 132/2016 si limita genericamente a prevedere -attraverso un disposto semplificato- che “il direttore generale dell’ISPRA ed i direttori generali delle agenzie sono nominati, secondo le procedure previste dalla legge per ciascun ente, tra soggetti di elevata professionalità e qualificata esperienza nel settore ambientale“, esprimendo un’indicazione significativa ma non specificamente puntualizzata se non con il riferimento al settore ambientale. La legge statale per le Agenzie ambientali non prevede dunque la formazione di un elenco nazionale su base selettiva, come invece per gli enti del servizio sanitario, ma solo un’anagrafe dei direttori generali di valore semplicemente ricognitivo, istituita presso ISPRA e costantemente aggiornata con finalità informativa e di trasparenza.
Quindi per queste nomine sono previsti requisiti indeterminati e non dettagliati di esperienza e professionalità, rimessi alla disciplina delle singole Regioni che spesso – per la copertura di tali incarichi- stabiliscono quasi sempre procedure idoneative a maglie larghe, preordinate a nomine di natura largamente discrezionale, anche al di fuori di precisi paletti curriculari. Questo meccanismo oggi non appare sempre sufficiente a garantire livelli di competenza ed autorevolezza professionale, adeguati all’esercizio di così delicate ed impegnative funzioni, che invece dovrebbero essere esercitate sempre in condizione di terzietà ed autonomia funzionale dal potere politico e da interessi settoriali.
Ora, alla luce del crescente rilievo funzionale delle Agenzie per l’ambiente, risulterebbe opportuno “de jure condendo” al fine di limitare la discrezionalità di scelta del decisore politico – orientandola verso una adeguata e spiccata professionalizzazione di tali ruoli – estendere ai Direttori delle ARPA lo stesso meccanismo selettivo di nomina previsto e consolidato per gli Enti sanitari con lo screening dei relativi requisiti. Esso, ovviamente adattato alle relative specificità e peculiarità di settore, dovrebbe essere realizzato mediante la costituzione di un elenco nazionale dei soggetti idonei – dichiarati tali in virtù di una comprovata base formativa e professionale – istituito presso ISPRA o presso il Ministero dell’Ambiente da cui attingere obbligatoriamente per le conseguenti procedure concorsuali regionali, alla stregua di quanto già avviene da tempo in sanità.
Si tratta, in definitiva, di un non secondario profilo di qualificazione della “governance” discendente dall’esigenza di garantire che le ARPA svolgano in piena autonomia tecnico-professionale, sia pure sulla base dei necessari indirizzi e linee regionali, le loro delicate funzioni di controllo e monitoraggio indipendente, insuscettibili di potenziali condizionamenti da parte della politica, delle lobby e degli interessi particolaristici che sovente operano nel settore ambientale.
Si muove in senso opposto la recente modifica normativa della Regione Puglia, introdotta dalla legge di bilancio 2025, che ha alterato la governance della sua Agenzia ambientale sovrapponendo al ruolo ed alle funzioni monocratiche del Direttore generale la costituzione – inusuale per tale tipologia di ente (eccetto l’esperienza, poi parzialmente rientrata, di Arpa Lombardia), – di un consiglio di amministrazione, con un presidente che assumerebbe anche le funzioni di rappresentante legale dell’agenzia stessa.
Si tratta di una forzatura normativa in controtendenza rispetto ai principi dell’ordinamento, che potrebbe snaturare le caratteristiche di autonomia funzionale, spoliticizzazione e neutralità istituzionale necessarie ed appropriate per un organo tecnico così delicato, per le sue funzioni di monitoraggio e controllo indipendente, senza alcun beneficio di efficienza ed opportunità gestionale.