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Autonomia differenziata, bye bye referendum

potrebbe però venirne fuori una legge se non buona, almeno accettabile

by Luigi Gravagnuolo
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Che il referendum sulla Legge Calderoli sull’Autonomia Differenziata difficilmente avrebbe passato il vaglio della Suprema Corte era nell’aria. E non si dica che è facile asserirlo oggi, a bocciatura sentenziata. C’era chi lo aveva intuito prima, al punto da invitare gli attivisti dei gazebo che sudavano sotto il cocente sole estivo per raccogliere le firme a non perdere l’occasione di una bella rinfrescata nelle acque marine, piuttosto che affannarsi per un’impresa velleitaria.

Velleitaria ed anche rischiosa. E se la Consulta avesse dato il via libera al referendum? Sono proprio convinti i suoi promotori che sarebbe stato un successo? O non avevano confuso le proprie speranze con la realtà?

E rischiosa perché, al di là del risultato nelle urne, si sarebbe determinata nel popolo italiano una profonda lacerazione territoriale.

Suvvia, lo diciamo a quanti si sono battuti con intrepido empito nella raccolta delle firme e che tenevano, come noi d’altronde, a non sbrindellare ulteriormente questa nostra già malandata nazione: è andata bene così, scampato pericolo!

Alla fine si è rivelata vincente invece la scelta delle quattro Regioni che hanno fatto ricorso alla Consulta sul merito della legge Calderoli. A loro la Corte ha dato ragione su sette punti dirimenti, al punto che la legge in quanto tale può oggi ritenersi de facto non vigente. Essa va rivisitata d’obbligo e corretta là dove la Corte ha indicato.

È il caso ora che le opposizioni escano dal muro contro muro, si rimbocchino le maniche e lavorino seriamente a modificare in modo incisivo il testo della Calderoli. Che nel suo impianto generale, innestandosi nel solco del novellato Titolo V della Costituzione, è coerente con la Carta Fondamentale.

La maggioranza per parte sua faccia tesoro dell’esperienza acquisita. Procedere a colpi di maggioranza sulle riforme istituzionali porta ad un vicolo cieco. In materia di costituzione e di leggi elettorali è ineludibile il confronto spassionato con tutte le forze parlamentari. E non solo con esse. Con le organizzazioni sociali, i partiti, gli Enti territoriali, le professioni e l’accademia.

Tra l’altro – lo scrivo da persona informata dei fatti – tanta parte della stessa maggioranza aveva mal assentito alla Calderoli, votandola solo per ‘disciplina di partito e di coalizione’. Ora costoro hanno l’occasione per portare avanti, senza la rigidità dello scontro frontale, le proprie considerazioni.

Insomma, alla fine può venirne fuori una legge se non buona, quanto meno accettabile.

Detto ciò, ci è parsa sbagliata la motivazione della bocciatura del referendum così come espressa nel comunicato dalla Corte:

La Corte ha rilevato che l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari. Ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore. Il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale”.

In attesa del deposito della sentenza, ci permettiamo di considerare sballata tale motivazione.

Il quesito referendario era chiarissimo:

“Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, ‘Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione’?”.

Dove sta la confusione? Si proponeva di abrogare una legge, presupponendo che essa fosse coerente con la costituzione. Vero che quelli che raccoglievano le firme erano anche gli stessi che, alla guida di quattro Regioni, la Campania in primis, avevano fatto ricorso alla Consulta, ma le due iniziative viaggiavano su binari diversi. La prima, la richiesta di referendum, dava per scontato che la legge fosse vigente; la seconda la considerava ‘incostituzionale’.

I referendum abrogativi vertono su leggi vigenti, quindi costituzionali. Fu così per il divorzio e per tutti i referendum successivi. Sarà così per gli altri referendum, assentiti dalla Consulta nella stessa seduta nella quale ha bocciato quello sulla Calderoli. Se quest’ultima fosse stata una legge vigente e coerente con la costituzione, sarebbe stata del tutto legittima la richiesta di referendum. Per quale motivo la sua eventuale abrogazione avrebbe significato abrogazione dell’art. 116 Cost.? Sarebbe restato tutto come prima della Legge Calderoli, punto.

Se viceversa essa fosse stata equiparabile a legge costituzionale, la Corte avrebbe dovuto bocciarla perché non varata ai sensi dell’art. 119 Cost.

Più plausibile – in attesa che venga depositata la sentenza – che il referendum sia stato bocciato perché, tra la raccolta delle firme e il vaglio della Consulta sulla sua ammissibilità, è cambiata di fatto – sia pure solo in pectore per ora – la norma contestata. In pratica la Legge Calderoli, così com’è stata varata dalle Camere, essendo in contrasto con la Costituzione in più parti, è da considerarsi allo stato come non vigente.

Che senso avrebbe avuto dunque tenere un referendum abrogativo di una legge non vigente?

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