Pubblichiamo di seguito l’abstract dello studio del Centro di analisi e consulenza strategica Giuseppe Bono presentato lo scorso 15 marzo all’assemblea pubblica di Federagenti a Roma.
La crisi post-Covid che si è abbattuta sulla catena logistica industriale, è ormai storia? No. Non è così. Le scosse di assestamento della pandemia che ha frantumato le certezze della globalizzazione e della logistica del just in time, quella basata essenzialmente sullo spostamento di fasi della produzione e componentistica in Paesi dell’Estremo oriente, non hanno ancora consentito di tracciare uno scenario nuovo e affidabile.
Certa è una rivoluzione in atto ma quale quadro di riferimento nella supply chain si potrà generare non è dato ancora saperlo. È certo che molte industrie, dal settore automotive a quello siderurgico all’agroalimentare, stanno valutando scelte alternative che garantiscano un accorciamento della supply chain e che quindi consentano alle imprese produttive di poter contare su soluzioni alternative rispetto alla dipendenza da centri di produzione lontani dall’industria di produzione finale e dai mercati di distribuzione e consumo.
E la soluzione sembra essere sotto gli occhi di tutti: I Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo e quelli del Medio Oriente, tutti riuniti sotto l’acronimo MENA (Middle East North Africa), sono la risposta naturale alle esigenze di una nuova logistica. Ma come sempre esiste più di un distinguo; quasi tutti i Paesi dell’area MENA denunciano una situazione geo-politica a dir poco instabile. Non solo: proprio sui Paesi MENA, sulla portualità del Nord Africa e del Medio Oriente incombono in modo sempre più cogente le ambizioni di vecchie e nuove potenze commerciali e politiche. In particolare la Cina che non fa certo mistero della sua volontà di controllare porti e infrastrutture logistiche (anche in Italia) per collocarsi sulla rotta della BRI, la Via della seta e per tutelare i suoi investimenti attuati negli anni in Africa nel controllo delle materie prime. Ma anche la Turchia che, benché indebolita da una situazione economica interna non particolarmente positiva, sta attuando una politica di posizionamento strategico in altri Paesi mediterranei, primo fra tutti la Turchia.
A favore della ipotesi di una graduale industrializzazione integrata dei Paesi MENA, suona l’esempio del Marocco che non casualmente è stato il primo a investire massicciamente su porti e logistica (ora anche con una linea ferroviaria sino alla Mauritania) e che si candida a svolgere il ruolo di trait d’union fra i paesi industrializzati europei e un nuovo mercato, che diventerà di consumo, nell’Africa sub sahariana e nel West Africa.
Ma questi Paesi stanno anche investendo in modo massiccio sulla logistica e da loro arriva la più autentica validazione dello spostamento a sud nell’asse dei traffici europei. Il Marocco, più di ogni altro Paese ha puntato su infrastrutture strategiche, sta investendo su due nuovi porti in Mediterraneo e in Atlantico, realizzando una linea ferroviari ad alta capacità che collegherà Tanger Med con la Mauritania e quel SubSahel che potrà diventare un mercato di consumo. L’ Egitto che sta realizzando forse la più importante zona franca del mondo sulle due sponde del Canale di Suez, sta progettando e realizzando nuovi terminal e un fast train dal Mediterraneo al Mar Rosso.
Quali conseguenze avranno questi fenomeni sui traffici marittimi in Mediterraneo, in arrivo e partenza dai porti italiani? Solo dall’analisi del processo di reshoring in atto, sarà possibile individuare le opportunità di business sulle direttrici del traffico marittimo, per quanto riguarda i flussi di materie prime, individuando le integrazioni industriali e quali traffici marittimi genereranno. Ma anche quale potrà essere lo sviluppo del traffico passeggeri e delle crociere con l’apertura di nuovi mercati e di nuove destinazioni?
Certo: la nuova centralità del Mediterraneo, è messa in discussione dalle incertezze geopolitiche evidenziate in modo drammatico dalla guerra in Ucraina, ma secondo molti il processo di friend shoring sarà comunque inevitabile e provocherà un dialogo di tipo del tutto differente fra i paesi costieri dell’Europa e quelli del Nord Africa e del Medio Oriente.
È forse messa in discussione anche da un’Europa che è e resta nord centrica, nonostante il Pnrr e le dichiarazioni di impegno.
E proprio la guerra fa evocare un’altra “opportunità” quella derivante dai processi di ricostruzione che prima o poi dovranno essere avviati in Siria, Iraq, Libia e specialmente Libano, paesi distrutti e annientati da anni di guerra e guerra civile. Processi di ricostruzione che potranno coinvolgere imprese italiane e quindi alimentare nuove direttrici di traffico.
Lo studio cerca di tracciare un quadro di opportunità in particolare alla luce di tre scenari:
– Il primo relativo allo stato dell’arte dell’interscambio via mare fra Italia e MENA, con i mutamenti in atto nella dimensione e nelle caratteristiche delle navi e quindi, nella domanda di servizi portuali e logistici.
– Il secondo sulle conseguenze del reshoring e quindi di un rapporto di collaborazione nel campo industriale e nel campo dell’energia in particolare fra i paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo e l’Italia.
– Il terzo scenario è quello relativo alla partecipazione di imprese italiane o comunque di fornitori italiani ed europei al processo di ricostruzione che si è avviato in Medio Oriente e che risulterà amplificato, anche nel settore trasporti, dalla recente tragedia del sisma in Anatolia.
Quello che emerge prepotentemente da questo quadro incerto è comunque un ripensamento globale sulle caratteristiche dei traffici via mare, con ripercussioni sul size e le dotazioni di cui dovranno essere dotate le navi, sulla containerizzazione e, in ultima ma decisiva istanza, sulle dotazioni e la pianificazione infrastrutturale dei porti, europei, ma specialmente italiani, che saranno o potranno essere (a seconda della loro capacità di reazione) chiamati a svolgere un ruolo strategico nei grandi processi che si concentreranno nel Mediterraneo ovvero il Mare che verrà.
E questo varrà anche per un traffico passeggeri che inevitabilmente crescerà su tre filiere: la prima, più evidente, quella delle crociere in forte ripresa e alla ricerca con la nuova tipologia di navi extralusso, di destinazioni alternative compatibili con la sicurezza e la protezione dell’ambiente; quindi il traffico sulle navi traghetto con un probabile ampliamento del network di collegamenti e di destinazioni delle autostrade del mare specie se le produzioni industriali si concentreranno in alcuni Paesi Mena; infine il settore delle grandi imbarcazioni da diporto che stanno crescendo alla media di 100 nuove unità operanti in Mediterraneo ogni anno con un intero spettro di domanda sempre più selettiva di porti e approdi in grado di fornire anche una migliore connessione con le destinazioni di terra.
Per intanto una porzione importante della produzione automotive si è spostata in Marocco, l’Egitto ha polarizzato tessile e manifattura, la Turchia sta attirando un numero crescente di imprese che parevano intenzionate a disinvestire in Far East e investire in un est europeo, diventato con la guerra in Ucraina, a rischio.