Nuova tappa del viaggio di Gente e Territorio alla scoperta del Dipartimento provinciale Arpac di Napoli (percorso ormai ricco di puntate, tutte raccolte nella sezione Arpac Spazio Ambiente del nostro giornale). Oggi ci occupiamo della Unità Operativa suolo e siti contaminati (SUSC) dell’Area territoriale. Siamo con il dottore Dario Mirella, Direttore del Dipartimento, e con il dottore geologo Vincenzo Barbuto, dirigente l’Unità Operativa SUSC.
Mirella. La SUSC segue tutte le attività di bonifica e di dragaggio, di riutilizzo di terre e rocce da scavo nell’ambito della provincia di Napoli, un territorio sul quale insiste la maggior parte dei grandi siti contaminati soggetti a caratterizzazione e a bonifica. L’Unità Operativa forse più impegnata in tutta la Campania, che proprio in questi giorni sta seguendo la vicenda della frana di Casamicciola per quanto riguarda il dragaggio dei fondali e quindi la rifunzionalizzazione del porto.
Barbuto. L’Unità è composta da me e da sei funzionari tecnici che si occupano di istruttoria e controllo nelle procedure di bonifica dei siti contaminati, di riutilizzo dei suoli e delle terre e rocce da scavo e nei progetti di dragaggio nelle aree portuali afferenti la Provincia di Napoli.
Partiamo da Bagnoli.
Barbuto. Bagnoli è un Sito di Interesse Nazionale (SIN) sul quale sono in corso diverse procedure di valutazione, analisi di rischio e bonifica, tutte istruite e controllate da Arpac nell’ambito delle sue competenze. E’ infatti un’area molto vasta sulla quale esiste una contaminazione molto diversificata nelle varie matrici: suoli, acque sotterranee, sedimenti degli arenili e sedimenti dell’area sommersa. Si tratta di definire le tecnologie di bonifica da usare nel rispetto della norma che impone che le bonifiche siano eseguite a costi sostenibili e che, soprattutto, la sostenibilità sia ambientale. Ormai non è più tempo di scavare e portare in discarica.
Se io dico colmata cosa mi risponde?
Barbuto. Che in passato era stato fatto un progetto per delocalizzarla, ma alla fine si sarebbe solo spostato il problema da un’altra parte. Quindi oggi siamo in una fase di screening, eseguendo dei test per la verifica di una messa in sicurezza permanente, senza delocalizzazione. La valutazione finale sarà poi fatta in sede di conferenza de servizi indetta dal Commissario incaricato dal Ministero dell’ambiente, con cui collaboriamo attivamente. Il parere ARPAC verrà reso, così come per tutte le procedure di bonifica in aree SIN, dalla nostra U.O.C. SICB della Direzione Tecnica, mentre alla mia UO per le aree SIN spetterà il compito di effettuare i controlli in corso di bonifica e di verifica finale della avvenuta bonifica.
Passiamo a Casamicciola. Cosa avete trovato nelle acque del porto?
Barbuto. Quasi 20.000 metri cubi di materiale da frana. Ma non ci sono state grandi criticità in termini di caratterizzazione, tant’è che siamo riusciti ad approvare rapidamente il progetto di dragaggio. I tempi sono stati molto serrati e il dragaggio è già in corso, la fase preliminare è stata terminata e l’Anton Dohrn sta eseguendo un monitoraggio biologico marino. Noi saremo coinvolti per le attività di controllo. Entro la fine del mese di giugno, massimo ai primi di luglio, dovrebbero terminare i lavori e il porto potrà tornare alla piena funzionalità, che attualmente è al 50%.
E’ corretto dire che Casamicciola è stata un bell’esempio di collaborazione tecnica istituzionale?
Barbuto. Assolutamente, si. Un record, rispetto ai tempi della pubblica amministrazione, per l’esecuzione delle indagini, l’approvazione della caratterizzazione del sedimento ed il progetto di dragaggio. Normalmente ci sarebbe voluto non meno di un anno, noi ci siamo riusciti in due mesi. Sia pure con enorme sacrificio, lavorando la sera, la notte, sabato e domenica, i laboratori addirittura h24.
Mirella. Chiaramente il problema Casamicciola ci ha costretto ad accantonare per un attimo tutte le altre attività. E’ stato un grosso sforzo organizzativo, anche perché nel periodo estivo confluiscono tutta una serie di problematiche.
Veniamo al porto di Napoli.
Barbuto. Il dragaggio del porto è stato eseguito un paio di anni fa. E’ stato un dragaggio importante, in un’area SIN di competenza del Ministero dell’ambiente, al quale l’Arpac ha comunque dato il suo contributo sia come Direzione Tecnica sia come Dipartimento di Napoli. La mia Unità ha effettuato il prelievo di campioni di sedimento delle acque marine per le analisi chimiche, ecotossicologiche e microbiologiche, che sono servite a verificare le analisi eseguite dalle ditte incaricate dall’Autorità portuale e appurare che la gestione dei sedimenti dragati avvenisse in modo corretto. Una buona percentuale di sedimenti è stata refluita nella cassa di colmata realizzata nel frattempo. Una piccola parte, particolarmente contaminata da idrocarburi, è stata conferita in discarica. Ma ancora oggi l’Autorità portuale sta presentando diversi progetti, fra manutenzioni di dighe foranee e nuove casse di colmata, e quindi c’è un rapporto non dico settimanale ma quasi.
Area di San Giovanni.
Barbuto. Il Comune di Napoli sta cercando di rendere fruibili gli arenili. Le do una chicca: siamo in fase di approvazione dell’analisi di rischio che il Comune ha voluto affidare direttamente all’Arpac. E’ al vaglio del Ministero dell’ambiente. Ovviamente, avendo l’Arpac fatto l’analisi di rischio, non rilasceremo noi il relativo parere ma l’Ispra, l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente. Dai primi dati ufficiosi sembrerebbe che una buona parte degli arenili potrà essere fruita per l’elioterapia. La rimozione di alcuni hotspot, cioè di piccole quantità di sedimento, potrebbe infatti risolvere i problemi. Poi c’è tutta la zona retrostante, quella del SIN di Napoli Orientale. Ci sono quasi 900 procedimenti di bonifica in quest’area. Quello più grande ovviamente è relativo alla ex raffineria, oggi deposito petrolifero della Q8, che ha avuto una piccola interruzione legata alla destinazione urbanistica delle aree ed a problematiche interne alla Q8 legate a contenziosi con alcune ditte appaltatrici.
Ci sono differenze significative fra le varie zone del napoletano?
Barbuto. Eh, questa è una bella domanda. Ovviamente la maggior parte delle criticità sulle bonifiche sono in prossimità degli insediamenti industriali, quindi il primo focus lo farei sulle aree del giuglianese e vesuviana. Fino al 2013 queste aree erano state classificate come SIN, poi sono state derubricate a Siti regionali. Oggi è la Regione che ne gestisce le bonifiche con il relativo Piano regionale e il Dipartimento Arpac di Napoli deve fare tutto: dai pareri in conferenza dei servizi alle validazioni, ai controlli e ai collaudi delle bonifiche.
Voi controllate il Piano regionale, quindi ne conoscete lo stato di attuazione. Da 1 a 10?
Barbuto. Quattro. Gli altri sei in una buona parte sono privati e quindi c’è il problema dell’intervento dell’ente pubblico in danno del privato, che apre uno scenario giuridico complesso.
Particolari criticità?
Barbuto. L’Area vasta di Giugliano, dove c’erano i siti di stoccaggio delle ecoballe, perché lì c’è una contaminazione della falda molto diffusa. Tant’è che l’area sta per essere riconsegnata al Ministero dell’ambiente come SIN. Altre grosse criticità a livello diffuso non ne vedo. Ci sono sicuramente degli stabilimenti che in passato hanno contaminato, ma sono in atto procedure specifiche. Poi, però, ci sono le contaminazioni collegate all’abbandono dei rifiuti. Ci sono ancora intere zone del litorale vesuviano dove sono interrati migliaia di metri cubi di rifiuti e per le quali i Comuni stanno mettendo in atto tutta una serie di progetti di bonifica attingendo anche ai fondi del Pnrr.
Ma ci sono anche le attività che svolgete per le Procure.
Barbuto. Sono essenzialmente relative al supporto della verifica delle procedure sulla gestione delle terre e rocce da scavo. Molto spesso siamo chiamati, a volte siamo noi a chiamare la polizia giudiziaria quando andiamo a fare le ispezioni sui cantieri. Altra grossa attività che ci viene chiesta è quella della verifica della contaminazione dei siti susseguente ad illecito sversamento di rifiuti o a scarichi non autorizzati. Nel 2022 abbiamo eseguito quasi 40 ispezioni con relative relazioni. Che non è poco, ma il problema è che all’attività in campo segue l’attività analitica, l’elaborazione dei dati analitici, il reporting e poi quasi sempre le testimonianze.
Ma allora non 6, dovreste essere 60.
Barbuto. L’Arpac è sottodimensionata, si sa, mi sembra che all’organico manchino circa 200 persone. A me ne servirebbero almeno il doppio per rispettare i tempi. Ma non mi posso lamentare, nel senso che facciamo squadra e riusciamo quanto meno a sopperire alle emergenze. Il problema è che stiamo andando di emergenza in emergenza, non si riesce più a pianificare.
Mirella. Le Unità Operative dell’Area territoriale soffrono sempre di un fattore limitante. Anche se avessero il doppio del personale, troverebbero inevitabilmente un collo di bottiglia nelle attività laboratoristiche. Possono pure avviare molte procedure contemporaneamente, che vuol dire risolvere più problematiche insieme su più siti, ma ci vuole la pronta risposta dei laboratori, anche dei laboratori esterni. E non sono flussi di lavoro uniformi nell’arco dell’anno, ma hanno degli improvvisi picchi. L’Agenzia fino a due anni fa ha lavorato con attrezzature acquistate con il POR 2000/2006 che avevano 15 anni di vita, adesso abbiamo avuto un grosso incremento di dotazione. Analogamente, l’incremento di personale dovrebbe riguardare l’intera struttura dell’Arpac.