Gente e Territorio prosegue il suo racconto del Dipartimento provinciale Arpac di Napoli. Oggi tocca al REMIC (benedetti acronimi), ossia all’Unità Operativa che si occupa di acque reflue, acque interne e acque marino costiere. Siamo con il dottore Dario Mirella, Direttore del Dipartimento, con il dottore Luigi Cossentino, Direttore dell’Area territoriale, e con la dottoressa Sonia Giribone, dirigente l’Unità Operativa REMIC.
Mirella. Questa Unità Operativa svolge le attività di campionamento e di controllo sulle acque – superficiali, sotterranee e marine – sia ai fini della balneazione che del controllo della qualità. Si occupa quindi di acque reflue, di depuratori. Sia dei grandi impianti cui fanno capo gli insediamenti urbani che di quelli a servizio degli insediamenti industriali. Noi eseguiamo una serie di controlli, tarati sugli abitanti equivalenti serviti dal singolo impianto, verificando così il corretto operato dei laboratori interni dei gestori.
Come operate?
Giribone. In maniera articolata coprendo diverse attività, sia sul fronte del monitoraggio che su quello del controllo, che sono ambiti normativi diversi in contesti ambientali diversi. La programmazione del monitoraggio è frutto dell’analisi dei dati storici inseriti nel sistema, che determinano una classificazione progressiva. I risultati dei monitoraggi vanno poi ad alimentare i data base regionali aggiornando le classificazioni. L’attività relativa alla balneazione fa eccezione, anche se nel medio termine il discorso è lo stesso: la classificazione dei vari punti di rete è progressiva in base ai dati che vengono implementati man mano, però eventuali non conformità determinano provvedimenti immediati di inibizione della balneazione e i relativi dati vengono trasmessi agli Enti competenti nel più breve tempo possibile e resi pubblici.
Qual è la situazione della grande depurazione comprensoriale?
Giribone. Un po’ disomogenea. Ci sono lavori in corso, ma il sistema generale di collettamento non è ancora completo e si determinano alcuni punti critici. Ci sono poi impianti che funzionano meglio e impianti che a volte hanno qualche problema. Ci sono insomma momenti un po’ altalenanti, ma le attività di messa a punto proseguono.
Mirella. Dopo lo stop alle attività industriali legato alla pandemia, c’è stata un’enorme ripresa. Quindi è normale che i risultati attuali siano altalenanti, dato che la produzione industriale è tornata a pieno regime.
Veniamo alla depurazione comunale.
Giribone. Qui comincia a entrare in gioco il discorso risorse. Il nostro primo obiettivo è riuscire a garantire il livello di controllo richiesto dalla normativa sui grandi impianti. Poi riusciamo comunque a monitorare qualche depuratore tra quelli più piccoli, ma arrivare al 100% non è assolutamente possibile. Le criticità riscontrate emergono a macchia di leopardo, a volte legate a una problematica impiantistica a volte ad un evento occasionale. Il nostro compito è segnalarle, aldilà dei controlli che i gestori sono comunque tenuti a fare, per consentire i necessari interventi.
Passiamo alla depurazione delle attività produttive.
Giribone. Per l’attività di controllo l’ambito privato è un ambito importante. Ovviamente diamo priorità alle aziende sottoposte ad Autorizzazione Integrata Ambientale, che hanno un maggiore impatto. Questo rende meno agevole il controllo delle piccole aziende, che alla fine vengono attenzionate maggiormente in base alle richieste che ci giungono dalle Autorità Giudiziarie.
Mirella. Arpac, relativamente alle fonti di pressione, segue il programma annuale delle attività che viene validato ogni anno dalla Regione. Nell’ambito di questo programma definisce il numero di attività che riesce a svolgere secondo una scaletta di priorità in cima alla quale ci sono appunto gli impianti AIA. Avendo più personale potremmo avviare una serie di controlli sistematici di impianti più piccoli, che attualmente vengono controllati un po’ a spot.
Ma le grandi aziende inquinano?
Giribone. A volte rileviamo difformità formali che vengono sanate, soprattutto quest’anno è stato molto più importante il lavoro istruttorio rispetto a quello in campo. Nel senso che la Regione ha avviato un elevato numero di procedimenti autorizzativi, che devono essere conclusi nei tempi previsti dalla normativa, mentre le visite sono state in numero limitato, proporzionato alle residue forze disponibili.
Mirella. Se un impianto è strutturato bene sulla carta, deve funzionare. Quindi il lavoro autorizzativo e di verifica documentale è basilare. Poi è chiaro il campo permette di verificare se effettivamente quello che era stato progettato è stato realizzato correttamente, ma si riesce a fare una grossa scrematura esaminando le carte.
Cosa cercate con le vostre analisi?
Mirella. La nuova normativa sta definendo il set di controlli da effettuare anche in modo da non disperdere energie e risorse controllando cose non necessarie. Quindi in qualche modo l’analisi del ciclo produttivo definisce già quelli che sono i parametri significativi. Sulla grande depurazione quello che gioca molto è il carico organico, la parte microbiologica e tutta un’altra gamma di sostanze che possono dare problemi di impatto sui corsi d’acqua e sul mare.
Lo stato delle acque superficiali?
Giribone. Le acque superficiali non sono di buona qualità in provincia di Napoli, e questo non credo rappresenti una sorpresa per nessuno. Ciò è dovuto ad una concomitanza di fattori: noi troviamo indicatori di contaminazione sia da reflui domestici che di tipo industriale.
E però: 97% di costa balneabile, Bandiere Blu in aumento. Come è possibile?
Mirella. Quando parliamo della balneabilità facciamo riferimento a un set di parametri relativi alla salvaguardia sanitaria dei bagnanti, che riguardano esclusivamente la componente microbiologica. Sotto questo profilo le acque sono assolutamente conformi alla normativa, a meno di quelle fisiologicamente non balneabili. Quando parliamo di qualità delle acque, invece, stiamo parlando della salvaguardia di altri organismi che non sono l’uomo. E non ci riferiamo tanto all’ambiente marino, se non nelle immediate vicinanze della costa, perché a mare c’è un importante fattore di diluizione, quanto all’ambiente fluviale e lacustre dove vivono specie che risentono di questo tipo di inquinamento.
Avete accennato prima al lavoro svolto a supporto delle Autorità Giudiziarie.
Giribone. Si, la richiesta è molto forte e a volte la criticità che ci viene segnalata deve essere approfondita per valutare quali siano le matrici coinvolte. Non sempre, infatti, dalla prima richiesta si capisce quale effettivamente sarà poi l’oggetto dell’indagine da portare avanti. E questo è uno di quegli ambiti in cui le forze a disposizione non ci consentono di rispondere al 100% alle richieste.
Mirella. Parliamo di oltre 500 richieste all’anno, che non vuol dire 500 interventi, perché alcuni filoni investigativi richiedono più interventi. Il che, sommato al resto delle attività dell’Unità Operativa, significa mediamente due squadre in campo per quattro giorni alla settimana. Nel periodo balneare, poi, ci sono tutta una serie di attività aggiuntive, richieste dalle Capitanerie di Porto e dai Comuni.
Giribone. L’Unità ha otto addetti, me compresa. Diciamo che con il doppio delle persone si potrebbe fare un buon lavoro.