Sono molto lieto delle risposte e dei commenti al mio articolo sul conflitto tra Armenia e Azerbaigian, che vengono dal dottor Mondino e dalla signora Laura Efrikian. In una società dove le discussioni diventano sempre più sterili ed autoreferenziali è una sorpresa un confronto di alto livello su un tema così delicato tra persone apparentemente lontane per storie, interessi e carriere. In particolare mi sento onorato di confrontarmi con la signora Efrikian, che è una figura storica nel costume e nello spettacolo italiano. Ringrazio il direttore Cioffi e il periodico Gente e Territorio per questa bella opportunità dialettica.
Vengo dunque al contenuto della mia replica.
1) Per il dottor Mondino. Certamente ogni popolo gode del diritto all’autodeterminazione. Ma questo non vuol dire che ogni popolo abbia diritto a una propria statualità. Fu questo il problema principale con cui si scontrò il presidente Wilson quando nel 1919 tentò di mettere in piedi la Società delle Nazioni. Se ciascuna comunità etnica, anche minuscola, avesse diritto al “Suo” Stato – riteneva Wilson – un mondo complicato e segnato da compresenze etniche sullo stesso territorio come quello eurasiatico sarebbe andato in pezzi. Bisognava trovare un criterio per dire dei sì e per dire dei no. La difficoltà nel trovare questo criterio fu una delle ragioni della debolezza della SDN. Tutto ciò per dire che è improponibile il confronto tra l’Azerbaigian del 1918 e la minoranza etnica armena del Karabakh di oggi (grazie per la citazione del mio volume). Inoltre se adottiamo quel paragone dobbiamo riconoscere che le potenze dell’Intesa – diciamo i grandi azionisti della Società delle Nazioni – riconobbero la sovranità azerbaigiana sul Karabakh.
2) Il 1945 segna uno spartiacque decisivo per la storia del mondo. Nonostante la caduta del muro, l’11 settembre e il Covid di fatto viviamo in un’era di continuità politico-giuridica con quell’anno. Nel luglio del 1945 un’alleanza militare chiamata “Nazioni Unite” si trasformò nella suprema organizzazione internazionale a livello globale; l’istanza superiore capace di conferire la legittimità a uno Stato, definendo la sua stessa esistenza come soggetto di diritto internazionale. Gli Stati possono poi esistere de facto. Ce ne sono diversi nell’ex Urss. Ma non fanno una vita allegra, senza riconoscimento internazionale. Certamente lei ha ragione. L’ONU è piena di problemi, essendo un organismo politico. Ma preferisco un mondo con le Nazioni Unite che senza. L’appartenenza alle Nazioni Unite dal 1945 sancisce l’inviolabilità dei confini dei suoi membri, indipendentemente dal regime politico. Ciò valse pure per l’Urss. Un’inviolabilità che venne ribadita dall’Occidente alla conferenza di Helsinki del 1975, oggi considerata come il vero inizio della fine della guerra fredda. Ora quando l’Urss si è dissolto le quindici nuove repubbliche trovarono la soluzione, semplice ed efficace, di rispettare i preesistenti confini interni sovietici. A loro volta le repubbliche sovietiche erano fondate sul concetto di nazionalità titolare, cioè del popolo numericamente prevalente che dava il nome alla repubblica. La Georgia dei georgiani, L’Uzbekistan degli Uzbechi e così via. Ma accanto alle nazionalità titolari esistevano altri gruppi. Tutti gli stati post-sovietici hanno consistenti minoranze e in questo contesto l’Azerbaigian per molti anni ha manifestato alla minoranza armena la sua disponibilità a discutere un eventuale modello per la regione, all’interno dei suoi confini, ma ciò è stato respinto dalla controparte. L’Armenia ha invece proseguito la sua politica di annessione di questi territori azerbaigiani, già dalla stessa occupati. Si tratta di confini arbitrari? Certamente. Ma tutti i confini sono arbitrari e ridisegnarli porterebbe ulteriore caos e maggior arbitrio.
3) Per la signora Efrikian. Non ho problemi a pronunciare la parola genocidio. Forse se ne abusa un po’ troppo ma non è questo il punto. Soltanto non capisco che relazione ci sia tra ciò che successe agli Armeni nel 1915 e l’Azerbaigian. Azerbaigiani e armeni all’epoca militavano dalla stessa parte. Entrambi i popoli erano sudditi fedeli dello Zar Nicola II e le posso assicurare che negli anni della guerra (1914-1918) né la Russia ebbe problemi interni con gli azerbaigiani (nonostante a pochissimi chilometri combattesse contro i turchi), né fu sparato un solo colpo tra armeni e azerbaigiani nonostante nell’impero ottomano si consumassero tragedie. Era appunto un problema ottomano – svoltosi tra Anatolia e Siria – e non caucasico. Le vite di armeni, georgiani e azerbaigiani continuarono tranquille in quegli anni di guerra. Le cose cambiarono con la Rivoluzione russa e qui vengo alla seconda parte della mia replica. Mi spiace ma lei riporta la citazione di Erdogan in maniera sbagliata. E’ vero che il presidente turco disse “proseguiremo il lavoro dei nostri antenati” ma non aggiunse mai che il popolo armeno doveva sparire. Ciò a cui si riferiva era la guerra condotta in Caucaso nel 1918 (dopo la firma del trattato di Brest Litovsk) in un’area geografica completamente differente – dove parte dell’esercito turco aiutò gli azerbaigiani a combattere non contro gli armeni ma contro un oramai dimenticato governo filo-russo menscevico (sostenuto dagli inglesi) chiamato “Dittatura centro-caspiana”. Inutile ricordare che gli ottomani entrarono sì a Baku nel settembre 1918, ma ne furono estromessi il mese successivo dalle truppe britanniche vittoriose. Gli azerbaigiani si misero sotto la protezione britannica (e poi italiana) e cercarono di aderire alla Società delle Nazioni. Si aprirono due anni di convivenza difficile con la vicina repubblica armena, ma appunto di convivenza. A sporadici scontri seguirono lunghi periodi di pace e stipula di accordi politici, e nel parlamento di Baku sedevano 21 deputati armeni di nazionalità azerbaigiana. Il tutto per dire che la storia dei rapporti tra Armenia e Azerbaigian non è sempre stata di conflitto e che soprattutto la questione armena nell’impero ottomano ha pochissima attinenza, anzi nessuna, con quanto successe in Caucaso nel 1918 e tanto più con la crisi attuale.
In quanto alla posizione della senatrice Papatheu, ella appartiene a un organismo parlamentare che ha nella sua mission contribuire a disinnescare le crisi internazionali, in accordo alla Costituzione italiana e alla posizione multilaterale e rispettosa della legalità internazionale del nostro Paese. Un organismo che agisce sulla base dei fatti e della documentazione in suo possesso e non attraverso simpatie di parte. Così come il mio lavoro cerca di basarsi sulle evidenze scientifiche e non sul sostegno di una parte contro l’altra.