Churchill sosteneva che “l’abilità in politica consiste nella capacità di prevedere ciò che accadrà domani, la settimana prossima, il mese prossimo, l’anno prossimo”. Dote complessa, ma fortemente richiesta soprattutto oggi in epoca di Covid. La storia, anche più recente, ci ha insegnato come spesso una seconda ondata epidemica si possa dimostrare peggiore della prima. Se allora la necessità di una pianificazione è sempre più opportuna in questo scenario, ancor più fallimentare è il ruolo delle istituzioni, incapaci di assumere provvedimenti preventivi capaci di limitare la portata della pandemia o arginarne l’impatto. Non mi riferisco solo al governo nazionale, privo di un’organizzazione capace di occuparsi dei problemi nel loro complesso, ma soprattutto di quello locale. L’attenzione va sicuramente a una delle regioni meridionali più colpite, la Campania, dove la nota inadeguatezza delle strutture di medicina territoriale non è stata contrastata con interventi strutturali di potenziamento. Anzi, la concentrazione degli sforzi organizzativi e umani sui pazienti da Covid, a scapito di quelli affetti da altre gravi malattie, ha peggiorato una situazione già in affanno. Chiaramente, non si tratta di una valutazione sul personale medico o paramedico, dotato di una professionalità indiscutibile, ma di valorizzare l’attività di questi specialisti altamente qualificati in un territorio caratterizzato da una rete precaria di ospedali e policlinici. I dati parlano chiaro: 7,3 letti per 100 mila abitanti, rappresentano un rapporto molto basso rispetto alla soglia di sicurezza del Governo fissata a 14. Ebbene, dinanzi a queste tristi evidenze cosa è stato fatto? Nulla, se pensiamo che, secondo il bollettino del Ministero della Salute del 26 ottobre, le terapie intensive occupate in Campania da pazienti Covid sono 123 e il tasso di saturazione è intorno al 28%.
Se le virtuose regioni settentrionali, note per l’eccellenza sanitaria, si sono trovate a dover fronteggiare una situazione senza pari, cosa accadrebbe se malauguratamente simili numeri di contagiati si dovessero verificare anche nelle regioni meridionali? Era questa la domanda che serpeggiava questa primavera, a cui la politica di De Luca non ha saputo dare una risposta. Ancor più grave è allora non aver sfruttato quel “vantaggio”, tenuto conto di un’ondata contenuta in Campania nel mese di marzo.
Durante la prima fase della pandemia, aveva preoccupato la mancanza di un’adeguata rete di medicina territoriale e di un’efficiente assistenza domiciliare, in grado di assistere a domicilio sia gli asintomatici, che i paucisintomatici. Un’organizzazione che se attuata efficacemente avrebbe consentito di non ingolfare le strutture ospedaliere con ricoveri non necessari, limitando – tra l’altro – la promiscuità e quindi la diffusione del contagio anche tra gli operatori sanitari. Senza considerare poi l’utilità di reperire e attrezzare i cd. Covid resort dove allocare i clinicamente guariti in attesa di un secondo tampone negativo.
Altra nota dolente: la carenza di personale medico e infermieristico, realtà conseguente alla sciagurata programmazione universitaria e al taglio degli organici degli ultimi decenni. Un problema liquidato con una pericolosa superficialità. A differenza di altre regioni virtuose, come il Friuli, che ha previsto assunzioni a tempo indeterminato, vitto e alloggio inclusi, in Campania, i direttori di Aziende Sanitarie hanno proposto contratti libero professionali o a tempo determinato con l’obbligo di assicurazione a carico del malcapitato specialista di turno.
Anche la disponibilità dei medici di medicina generale, resisi disponibili a effettuare gratuitamente i tamponi in spazi dedicati, è stata trascurata, Avrebbero invece dovuto eseguirli nei loro studi, con la conseguenza che, in caso di accertata positività di un paziente, sarebbe stata necessaria la chiusura di un presidio territoriale importante per la popolazione, soprattutto in questa fase.
“In politica presumiamo che tutti coloro i quali sanno conquistarsi i voti, sappiano anche amministrare uno Stato o una città”, ma – seguendo le perplessità di Platone al riguardo – possiamo oggi ritenere sempre valida questa presupposizione? Probabilmente, in quei mesi successivi al lockdown, l’oggi riconfermato Governatore De Luca, invece di pianificare la gestione del territorio, era più impegnato nelle dirette social e nell’affermare il culto della propria personalità.