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Antonia Pozzi l’8 marzo

La vita sognata

by Piera De Prosperis
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Antonia Pozzi, nome poco noto ai più, non presente nelle antologie scolastiche ma in realtà una delle voci più significative del Novecento poetico italiano. Perché ricordarla proprio ora in prossimità dell’8 marzo? Perché la sua parabola è significativa di un certo tipo di educazione e di rapporto che all’interno della famiglia si stabiliva tra figlie e genitori. Nata nel 1912, figlia desiderata, amata e coccolata, vive in un ambiente colto e raffinato, il padre è un notissimo avvocato di Milano e la madre di nobile famiglia è appassionata di letture e di musica. Cosa può desiderare di più Antonia: Ogni suo desiderio, ogni sua curiosità intellettuale viene soddisfatta, studia con profitto, è circondata da amici stimolanti. Insomma, una ragazza di ottima famiglia il cui avvenire non può essere che quello di moglie e madre.

Ma Antonia vuole altro dalla vita: la sua libertà di scegliere in amore e nella vita. Non può innamorarsi del suo professore perché giudicato inadatto a lei, non può essere liberamente poetessa e fotografa perché la sua strada deve essere l’insegnamento. Quante di noi, fatte salve le dovute differenze, possono ritrovarsi in questo percorso già scritto e definito a priori? Ma Antonia non ci sta, trascorre lunghi periodi nella solitudine delle Alpi. La casa di Pasturo in provincia di Lecco le consente un approccio unico e meraviglioso con la montagna. Viaggerà, anche per ordine del padre che cerca così di guarirla dal mal d’amore. Scoprirà la fotografia, arte attraverso la quale tenta di cogliere l’essenza profonda delle cose.

Il senso di oppressione profondo e nascosto evolve verso il male di vivere. Nel 1938 Antonia si toglie la vita, lasciando migliaia di scritti tra poesie, lettere, diari. Il padre che per primo leggerà questo materiale opererà tagli, distruggerà quanto non condivide e che soprattutto non corrisponde all’immagine che di una ragazza di buona famiglia si doveva avere. “Questa non è mia figlia, questa non può essere la mia Antonia.” Il 1938 è anche l’anno delle leggi razziali in Italia, mai condivise da Antonia che vedeva alcuni tra i suoi migliori amici essere costretti alla fuga e che ampliavano ancora di più il divario con la famiglia, perfettamente allineata all’ideologia fascista, il padre era infatti il podestà di Pasturo.

Antonia Pozzi è stata una grande poetessa. Ricordare il suo percorso e la sua produzione vale più di tante parole sul patriarcato. La vita sognata è la prima delle dieci poesie, unite in una piccola raccolta, scritte nel 1933, anno che segnò la definitiva rinuncia al suo sogno d’amore, dopo l’imposizione paterna cui non ebbe la forza di ribellarsi.

 

La vita sognata

Chi mi parla non sa

che io ho vissuto un’altra vita

come chi dica

una fiaba

o una parabola santa

 

perché tu eri

la purità mia,

tu, cui un’onda bianca

di tristezza cadeva sul volto

se ti chiamavo con labbra impure,

tu cui lacrime dolci

correvano nel profondo degli occhi

se guardavano in alto –

e così ti parevo bella.

 

O velo,

tu – della mia giovinezza,

mia veste chiara,

verità svanita –

o nodo

lucente – di tutta una vita

che fu sognata – forse –

 

oh, per averti sognata,

mia vita cara,

benedico i giorni che restano –

il ramo morto di tutti i giorni che restano,

che servono per piangere te.

 

E’ “terribile essere una donna, e avere diciassette anni” (Antonia Pozzi)

 

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