fbpx
Home In Italia e nel mondo Anticipazioni Svimez 2023: il Mezzogiorno tiene ma rischia di franare

Anticipazioni Svimez 2023: il Mezzogiorno tiene ma rischia di franare

by Pietro Spirito
0 comment

Il Mezzogiorno sinora tiene il passo del resto del Paese, ma non recupera ancora la voragine che si era aperta con la crisi del 2008. E’ questa la principale tesi contenuta nelle anticipazioni del Rapporto Svimez 2023, nel corso della presentazione che si è tenuta oggi a Roma, alla presenza del Ministro Raffaele Fitto.

Nel 2023, secondo le previsioni di Svimez, il Pil italiano crescerà dell’1,1%, con una forbice che territorialmente si collocherà tra lo 0,9% del Sud e l’1,2% del Centro Nord. Nel 2024 e 2025 l’economia italiana dovrebbe crescere rispettivamente dell’1,4% e dell’1,2%: l’andamento dei divari territoriali dipenderà da una serie di variabili: stato di attuazione del Pnrr, andamento degli investimenti, effetti sui meccanismi di rientro e di controllo dell’inflazione, assetto delle politiche monetarie.

Ci lasciamo alle spalle un 2022 che ha registrato una crescita del Pil in Italia pari al 3,7%, con un Mezzogiorno che si è allineato al valore medio europeo (3,5%). L’occupazione ha mostrato una ripresa anche nel Sud, dove però mancano ancora all’appello, rispetto al 2008, circa 300.000 posti di lavoro. Anche rispetto al Pil di quindici anni fa, al Mezzogiorno mancano all’appello ancora ben sette punti percentuali, solo per riprendere il piede della crescita economica che è alle nostre ormai lontane spalle.

I dati del Rapporto Svimez “lasciano intendere grandi potenzialità e rischi per il Mezzogiorno, luci e ombre. Le potenzialità vanno accompagnate e i rischi evitati anche con interventi di riprogrammazione che stiamo portando avanti”. Lo ha dichiarato il ministro agli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto. Il Ministro ha anche annunciato che “ci sarà un protocollo di intesa per lavorare insieme con Svimez”.

Sullo sfondo resta l’incertezza sulle scelte di politica monetaria che saranno effettuate dalla Banca Centrale Europea nel corso del 2023: una eventuale ulteriore stretta, oltre a quella decisa già per il prossimo settembre, provocherebbe effetti recessivi maggiori nel Sud rispetto al resto del Paese e dell’Europa. Va sottolineato, però, che l’inflazione ha morso di più nelle regioni meridionali che nel resto del Paese: nel 2022 i prezzi al consumo sono cresciuti nel Sud dell’8,7% rispetto al 7,9% del Centro-Nord.

Il Mezzogiorno si trova in questo momento dunque schiacciato tra necessità di rientro dall’eccessivo tasso di inflazione, che deprime i consumi, e rischio di politiche recessive derivanti dalle strette monetarie, che possono deprimere gli investimenti e la ripresa economica. Solo una poderosa politica di investimenti può consentire di uscire da una trappola che rischia di essere letale.

Nel 2023 i consumi delle famiglie cresceranno nel Sud solo dell’1,1%, rispetto ad un comunque modesto 1,7% del Centro Nord. Anche nel 2022 i consumi meridionali, soprattutto nel comparto dei beni alimentari, hanno fatto segnare un netto stacco rispetto al resto del nostro Paese, con un differenziale pari allo 0,7%.

Niente di buono fanno presagire le scelte che sono in campo e quelle che si delineano: la drastica riduzione dei trasferimenti per le politiche sociali da un lato e la prospettiva futura della autonomia differenziata dall’altro. Anche in questo caso il Mezzogiorno si trova stretto in una gola particolarmente complessa di politica economica: si rischia di riaprire la forbice dei differenziali di produzione della ricchezza che si erano almeno congelati a partire dalla metà de secondo decennio del ventunesimo secolo.

Molto dipenderà dalla attuazione degli investimenti previsti nei prossimi anni per effetto dei fondi del PNRR. Un eventuale rallentamento nella attuazione dei programmi previsti rischia di togliere la Mezzogiorno l’unica leva che in questi anni ha consentito il galleggiamento, vale a dire gli investimenti.

L’altro nodo riguarda le politiche del lavoro. La perdita di potere di acquisto dei salari è stata nel Mezzogiorno maggiore rispetto al Centro-Nord: -8,4% rispetto al 7,5% del Centro Nord, ed al -2,2% della media Ocse. La ripresa della occupazione, che pure ci è stata, lascia aperta la questione del lavoro povero e dei bassi salari.

Secondo le stime di Svimez, sono tre milioni i lavoratori che in Italia guadagnano meno di 9 euro all’ora, vale a dire il livello minimo salariale di cui si sta discutendo nel nostro Paese. Di questi tre milioni, uno sta nel Mezzogiorno.  E non va dimenticata la piaga del lavoro nero, che rischia di falsare le statistiche ufficiali su questo tema.

Ma è soprattutto l’emorragia dei cervelli giovani che sta dissanguando il Sud: tra il 2001 ed il 2021 circa 460.000 laureati si sono trasferiti dal mezzogiorno al Centro-Nord. Nel 2022 la quota di migranti meridionali con laurea ha superato il numero di quelli con titoli inferiori: questo prosciugamento di intelligenze, unito con la componente demografica che condurrà nei prossimi anni ad una rarefazione di popolazione meridionale, segnala la gravità di un divario strutturale che rischia di ripartire in modo irreversibile.