Flavio Cioffi richiama, nel suo articolo su questo giornale, la politica alle sue responsabilità per le decisioni che riguardano il benessere collettivo, anche nel caso della costruzione del deposito di Gnl nel porto di Napoli. Forse sarebbe meglio cominciare con un approccio basato su ciò che la politica non deve fare. Ungarettianamente, noi sappiamo solo ciò che non siamo e ciò che non vogliamo. Probabilmente, seguendo questo meccanismo definitorio per esclusione, si chiariscono meglio i perimetri dei possibili interventi della politica, che nei recenti decenni ha perduto il senso del suo valore per trasformarsi in un sistema di mercato organizzato per soddisfare la domanda del pubblico. Più che suscitare valori, la politica ricerca audience e like. Se vogliamo che torni a giocare un ruolo attivo, dobbiamo aiutarla ad assumere le decisioni che rispondono ai profili di interesse collettivo senza titillare gli istinti della pancia che inducono a mettere al centro l’interesse individuale.
Innanzitutto, la politica non si dovrebbe appiattire sulle posizioni dei comitati che si oppongono alla realizzazione delle opere infrastrutturali, soprattutto quando questi interventi rispondono ad esigenze di interesse generale. La politica, come primo compito, dovrebbe svolgere una funzione educativa verso i cittadini piuttosto che cavalcarne le ansie, le paure, le proteste.
Poi, non spetta alla politica scegliere le aziende che devono realizzare le infrastrutture. È un meccanismo che deve essere affidato al mercato, alle sue tecniche di confronto competitivo, a strumenti rodati che determinano efficienza.
Infine, la politica non deve agire in un contesto confuso nei diversi livelli di decisione che la caratterizzano. Come in tutte le attività umane, esiste una gerarchia ed un ordine che va rispettato, perché altrimenti si genera una intollerabile confusione che conduce alla paralisi.
Se, ad esempio, un piano nazionale energetico definisce le localizzazioni per i depositi costieri di stoccaggio del GNL, non possono poi esserci valutazioni difformi sui territori. Ci siamo invece infilati in una architettura delle decisioni pubbliche che segue la geometria variabile della massimizzazione del consenso di breve periodo. I territori sono concentrati solo sulla raccolta del consenso elettorale, che è ormai l’unico core business della politica locale. Questo accade perché con il potere centrale si scambia consenso con delega assoluta alla decisione sui territori stessi. Si tratta di un meccanismo che Gaetano Salvemini aveva descritto con molta efficacia già nel 1910 nel suo libro “Il Ministro della malavita”. Protagonista era Giovanni Giolitti, lo statista di Dronero, che consentiva il potere locale dei proconsoli meridionali, definiti da Salvemini mazzieri, in cambio di un feudo territoriale che indirizzava il consenso nazionale sul politico piemontese.
Ripristinare disciplina e gerarchia nel disegno delle istituzioni è una delle condizioni che servono per offrire al mercato quelle certezze necessarie ad operare efficacemente per mettere i cittadini nella condizione di rispettare volentieri la legge, intesa come sfera dei diritti e non dei soprusi.
Se insomma cominciassimo in politica a seguire questi tre principi su ciò che non deve essere fatto nella politica stessa, molto probabilmente si aprirebbe una nuova stagione di partecipazione sana alla vita pubblica, non per soddisfare bassi istinti, ma per costruire nuovi orizzonti. Sarebbe auspicabile, per tutti.